La polemica seguita alle dichiarazioni di Berlusconi sul rapporto fra immigrazione e criminalità ha un significato che va molto al di là dell'oggetto del contendere. La dice lunga sullo stato dell'informazione in Italia soprattutto su temi elettoralmente sensibili come l'immigrazione. Sia chi ha difeso le tesi del Presidente del Consiglio, sia chi le ha contestate non ha ritenuto necessario consultare le statistiche disponibili, liberamente accessibili dal sito dell'Istat http://giustiziaincifre.istat.it.
Se lo avesse fatto (si veda il "vero o falso?" sul sito www.lavoce.info) si sarebbe reso conto che l'equazione fra immigrazione e criminalità è priva di fondamento. A fronte di un incremento del 500 per cento del numero di permessi di soggiorno dal 1990 ad oggi (e di un aumento presumibilmente ancora più consistente dell'immigrazione totale, irregolari compresi), i tassi di criminalità sono rimasti pressoché invariati in Italia. Inoltre, non c'è stata crescita della criminalità nelle regioni a più alta immigrazione. Al contrario, in queste regioni, il numero di crimini per 100.000 abitanti si è ridotto.
L'informazione dovrebbe concentrarsi sui casi tipici, sui dati medi, invece di riportare solo episodi isolati, non rappresentativi. Da noi avviene esattamente il contrario. I media in Italia trattano dell'immigrazione sempre più insistentemente con riferimento a notizie di cronaca che coinvolgono gli immigrati, ma non riportano mai o quasi mai le statistiche su immigrati e popolazione autoctona nel loro complesso.
La percentuale di notizie e articoli contenenti la parola "immigrazione" è cresciuta negli ultimi cinque anni in Italia del 15 per cento, più che in tutti gli altri paesi dell'Unione Europea, dove i media continuano a dare più o meno la stessa importanza al tema. E le notizie che vengono fornite sull'immigrazione in Italia sono quasi esclusivamente negative, inquietanti per la popolazione che le ascolta. La percentuale di notizie su atti criminali sul totale delle notizie sugli immigrati è da noi tre volte superiore che negli altri paesi dell'Unione Europea. In Spagna la legge sulla privacy impone restrizioni a giornali e televisioni nel riportare la nazionalità degli individui coinvolti in atti di cronaca. Da noi la nazionalità dei presunti colpevoli viene sparata sui titoli di testa. È la notizia nella notizia.
I commenti alle notizie, gli approfondimenti, dovrebbero poi concentrarsi sugli interrogativi davvero importanti, quelli che hanno maggiore rilevanza dal punto di vista pratico. Quando Berlusconi ha proposto l'equazione fra immigrazione e criminalità lo ha fatto a supporto delle misure di inasprimento delle restrizioni all'ingresso e alla permanenza nel nostro paese di cittadini extracomunitari decise a più riprese in questi anni dal suo Governo.
Il vero quesito da porsi è perciò: servono questi provvedimenti nel ridurre il numero di crimini commessi dagli stranieri in Italia? È un quesito cui non è possibile dare delle risposte a priori. Da un lato, politiche davvero efficaci nel contenere i flussi migratori (non è il nostro caso, data la dimensione dell'immigrazione irregolare in Italia), potrebbero negare l'ingresso o la permanenza nel nostro paese anche di potenziali criminali.
D'altra parte, queste norme precipitano un numero sempre maggiore di immigrati già presenti sul territorio in una condizione di illegalità, a cui si associano peggiori prospettive occupazionali nell'economia ufficiale e, contestualmente, una maggiore propensione ad intraprendere attività criminali.
È molto difficile determinare quale dei due effetti prevalga perché gli immigrati illegali non sono normalmente osservabili nelle statistiche ufficiali. Inoltre la probabilità di richiedere e ottenere un permesso di soggiorno non è indipendente da caratteristiche che incidono sulla propensione a delinquere (ad esempio le abilità individuali, dunque le possibilità di guadagno sul mercato del lavoro regolare) il che impedisce di capire quanto incida in sé il fatto di essere clandestino sull'attitudine a delinquere.
Alcune indicazioni utili a riguardo vengono da uno studio di due giovani ricercatori, Giovanni Mastrobuoni e Paolo Pinotti, che hanno confrontato la propensione a delinquere degli immigrati rumeni, che hanno tutti indiscriminatamente ottenuto lo status legale in Italia a seguito dell'ingresso del loro paese nell'Unione Europea il primo gennaio 2007, con quella degli immigrati in provenienza da altri paesi che non hanno beneficiato dell'allargamento a Est dell'Unione. Per riuscire a monitorare anche gli immigrati clandestini, Mastrobuoni e Pinotti hanno analizzato il comportamento degli immigrati scarcerati a seguito dell'indulto del 2007.
Lo studio mette in luce come l'estensione dello status legale a tutti i rumeni abbia diminuito drasticamente la probabilità di riarresto (tecnicamente recidività) nei 10 mesi successivi alla scarcerazione per l'indulto, rispetto a chi non è stato regolarizzato. La maggiore propensione a delinquere degli immigrati irregolari (il fatto che siano sovra rappresentati nelle nostre carceri) sembra dunque dovuta, in larga parte, alla condizione stessa di illegalità, piuttosto che alle caratteristiche degli immigrati in quanto tali.
Politiche migratorie restrittive come quelle varate dal Governo Berlusconi rischiano perciò di rivelarsi controproducenti nella lotta alla criminalità. Si sono rivelate poco efficaci nel contenere l'immigrazione clandestina e potrebbero avere spinto molti immigrati già presenti sul nostro territorio a commettere reati. Ci sono altri modi di contrastare l'immigrazione clandestina che non espongono a questo rischio.
Ad esempio, si possono fare controlli più stringenti sui posti di lavoro riducendo quel lavoro nero che alimenta l'immigrazione clandestina. Utile anche offrire permessi di soggiorno temporanei agli immigrati che denunciano condizioni di irregolarità nel loro lavoro. È la strada suggerita dall'Unione Europea con l'art. 48 al voto del Senato la settimana scorsa. Ma la maggioranza la settimana scorsa ha deciso di opporsi a questo provvedimento nel silenzio assordante dei Tg, gli stessi che avevano dato grande risalto alle affermazioni del nostro Presidente del Consiglio sul rapporto fra immigrazione e criminalità. Nell'informazione dovrebbero contare i numeri e gli atti concreti. Da noi, invece, contano soprattutto le frasi in libertà dei politici. Che godono in effetti di una libertà assoluta, dato che nessuno, o quasi, si occupa di verificarne la fondatezza.