"Ci è stato segnalato quest'oggi un gravissimo episodio di violenza e tortura, verificatosi all'interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca d'Isonzo (Gorizia) nella notte fra il 28 e il 29 dicembre 2009".
Lo denunciano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti dell'organizzazione per i diritti umani Gruppo EveryOne, che si sta occupando della vicenda. "La vittima dell'ennesimo pestaggio si chiama Said Stati," riferiscono gli attivisti, "è di nazionalità marocchina e vive a Gavardo, in provincia di Brescia. Abita in Italia da oltre 19 anni, ha sempre lavorato e pagato le tasse. "Tutti i suoi parenti" continuano i rappresentanti di EveryOne, "vivono nel nostro Paese: la madre e sei fratelli che sono tutti sposati, con figli. Durante il terremoto che ha colpito Salò nel 2005, Said ha perso la casa. Sempre in seguito al sisma," raccontano ancora Malini, Pegoraro e Picciau, "la fabbrica dove era occupato ha chiuso e il ragazzo, con moglie e due figli piccoli, pur avendo bussato a ogni porta, non ha trovato in tempo un'occupazione alternativa.
Quando il suo permesso di soggiorno è scaduto è divenuto clandestino, in base alla legge 94/2009 (il pacchetto sicurezza) già pesantemente criticata per il suo contenuto xenofobo dalla Commissione europea, dal Comitato contro le discriminazioni delle Nazioni Unite, dalle autorità ecclesiastiche e dalle principali organizzazioni per i Diritti Umani.
L'11 novembre scorso, Said è stato arrestato e condotto al Cie di Gradisca, dove è stato identificato e ha ricevuto un decreto di espulsione. Nonostante soffra di una depressione e il medico curante gli abbia prescritto un antidepressivo, le autorità gli hanno negato, poche ore prima dell'abuso nei suoi confronti, di assumere il farmaco.
Said ci ha raccontato al telefono che nella notte fra lunedì e martedì scorso, tre guardie lo hanno prelevato dalla sua cella, conducendolo in un'altra, dove gli è stato intimato di togliersi gli occhiali perché l'avrebbero sottoposto a un pestaggio. Ci ha inoltre confessato che per dare un esempio agli altri carcerati, è stato consentito ad alcuni detenuti di assistere alla violenza. Anche operatori in servizio preso il centro hanno presenziato alla violazione dei suoi diritti umani.
Said è stato picchiato con inaudita brutalità al capo, al tronco e in diverse altre parti del corpo, con pugni e colpi di manganello. Solo dopo averlo lasciato a terra, pesto e sanguinante, le guardie hanno consentito agli operatori di portarlo al pronto soccorso, dove è stato medicato". Il Cie di Gradisca di Isonzo è stato teatro di ripetute violenze e abusi sugli internati, e già un detenuto aveva videoripreso, il 21 settembre scorso, con un telefonino, le conseguenze di un pestaggio di massa da parte delle forze dell'ordine. In quell'occasione, l'episodio venne denunciato presso le sedi competenti in Italia e all'estero dal Gruppo EveryOne e da altre organizzazioni per i diritti umani e i principali quotidiani lo riportarono, assieme alle stigmatizzazioni di autorità politiche e dalla società civile.
"Nulla è tuttavia cambiato nel Centro," sottolineano con preoccupazione i rappresentanti del Gruppo, "e anzi trattamenti inumani e degradanti continuano a essere perpetrati dalle autorità senza che la Procura di Gorizia e lo stesso Ministero dell'Interno prendano provvedimenti. Abbiamo informato della vicenda di Said il Comitato contro la Tortura del Consiglio d'Europa, affinché venga inviata al Cie quanto prima una commissione ispettiva d'inchiesta; abbiamo inoltre depositato un esposto presso la Procura di Gorizia e una memoria all'Alto Commissario per i Diritti Umani e all'Alto Commissario per i Rifugiati, presso gli uffici di Ginevra delle Nazioni Unite".
Contemporaneamente, EveryOne ha chiesto in una lettera al Presidente della Camera, onorevole Gianfranco Fini, di prendersi a cuore il caso di Said: "Il giovane marocchino attende, distrutto nel corpo e nello spirito, di essere deportato in Marocco, dove non ha parenti né conoscenze. Said è un cittadino esemplare e non ha mai avuto problemi con la giustizia. La sua famiglia e la sua vita non hanno senso lontano dall'Italia e solo una serie di eventi drammatici gli ha impedito di avere i requisiti per rinnovare, con le attuali disposizioni, il permesso di soggiorno.
I suoi figli, un bambino che frequenta la terza elementare e una bimba di tre anni, sono disperati e non si danno pace per la mancanza dell'amato papà, che è stato loro strappato senza che avesse alcuna colpa. Ci auguriamo," scrivono Malini, Pegoraro e Picciau a conclusione della lettera a Fini, "che, grazie a un Suo provvidenziale intervento, si eviti che al dolore e alle ingiustizie patite dal detenuto si aggiunga un nuovo dramma irreparabile, che annienterebbe un'intera famiglia vulnerabile e innocente".