Non vi aspettate un politico. Né un artista. Né un premio Nobel o uno sportivo. No, il "personaggio" dell'anno è un ragazzo che non c'è più. Non era un eroe di guerra, né tantomeno un operatore umanitario ostaggio della guerriglia. Non era un ragazzo perfetto, né uno studente modello, né un volto televisivo. Era un ragazzo normale, con i suoi problemi e la sua famiglia a sostenerlo. Con i suoi amici, la palestra e la Lazio allo stadio la domenica. Sì, anche con problemi di droga, è vero. Problema diffuso che tocca trasversalmente la società: vecchi e giovani, agiati e poveri, operai e imprenditori. Del resto anche l'acqua contaminata dei fiumi, come a Firenze, lo testimonia.
Stefano Cucchi, così si chiamava, era un ragazzo come tanti. Forse un po' più fragile ma allo stesso tempo pieno di vita e di amore per suo nipote. Anche per lui diceva di avere tanta voglia di ricominciare. Purtroppo però è morto: solo dopo sei giorni il suo ingresso in carcere, dopo il suo arresto perché è stato trovato in possesso di alcune dosi di sostanze stupefacenti. Come è morto si sa. È stato picchiato, umiliato e lasciato praticamente morire in una barella. Per mano di chi è morto ancora no. Perché sotto accusa sono finiti nell'ordine secondini, carabinieri, agenti, medici. Ma ancora non si riesce a capire di chi sia la responsabilità della morte assurda e senza motivazione di un giovane ragioniere di 31 anni.
Stefano è il personaggio dell'anno grazie alla sua famiglia. Che ha avuto il coraggio di pubblicare le immagini di quel corpo straziato dalle botte restituito ai suoi cari solo dopo l'autopsia. Un corpo esile, con una smorfia di terrore che rimarrà scolpita per sempre. La famiglia ha fatto ciò per disperazione, perché incredula di aver perso un figlio in questo modo. Come lo ha definito il referto "è morto in modo disumano e degradante". Se non fosse stato per quelle immagini probabilmente questa storia sarebbe rimasta ai margini dei giornali. Lì, in una "breve" tra uno sciopero revocato e una rissa tra balordi.
Quelle immagini, però, sono riuscite a far riflettere un paese - sempre più eccitato dal "nulla" - su un problema che riemerge solo di rado ma che purtroppo determina la vita di molti: quello delle condizioni delle carceri italiane e dei luoghi di detenzione in generale. Di come, cioè, un cittadino possa entrare con le sue gambe dentro un istituto penitenziario, una caserma, una questura, e uscire da lì avvolto in un sacchetto di plastica. Già perché dopo quella di Stefano altre storie si sono aggiunte purtroppo alla casistica: violenze contro i detenuti a Teramo, suicidi nelle celle, morti "sospette". E tutto questo, si badi bene, in Italia: la culla dello stato di diritto. Che qualche volta, come in questo caso, si risveglia un po' sudamericana.
Ma la storia di Stefano, nella sua tragicità, non è priva di riscontri positivi. Perché questa triste vicenda ha costretto tutti a prendere atto delle proprie responsabilità. Lo Stato, ad esempio, questa volta non ha recitato la parte ma ha da subito attivato i meccanismi di indagine: anche se ancora però non si riesce ad abbattere il muro di omertà e l'insopportabile tiritera dei rimpalli di responsabilità. La politica questa volta - da destra a sinistra - si è ritrovata unita nel non ricercare alcuna forma di autoassoluzione. E lo ha fatto istituendo un comitato unitario. Un atto di responsabilità, anche per disinnescare il teorema delle istituzioni che si coprono le spalle agitato dalle frange violente dei centri sociali. La società tutta, poi, non ha recitato nessun distinguo in difesa preventiva di nessuno, ma dalle piazze ai forum della rete si è stretta attorno alla famiglia chiedendo con civiltà una sola cosa: verità per Cucchi.
Purtroppo, però, a distanza di qualche mese sembra che tutto ciò stia sbiadendo. Con la frenesia delle notizie (che sono sempre più notiziette) l'indignazione rischia di scemare. Questo nonostante le indagini in corso continuino a scagionare, lasciando il terribile sospetto che alla fine il ragazzo sia morto senza nessun colpevole ufficiale. Ecco perché è giusto e doveroso mantenere alta l'attenzione mediatica e politica su questa storia.
Lo dobbiamo a Stefano che nel 2010 non ci sarà. Lo dobbiamo alla sua famiglia che ha così decorosamente e con senso civico esemplare lottato per la verità. Lo dobbiamo al figlio di Ilaria, la sorella di Stefano, che si chiede il perché suo zio non tornerà a giocare con lui. Ecco perché Stefano Cucchi è il personaggio dell'anno. Perché ci ha costretto ad affrontare problemi tabù come quello delle carceri e della violenza. Perché fare i conti con la sua storia sarà la cartina tornasole di che paese siamo. Di che razza di paese racconteremo ai nostri figli se non facciamo nulla affinché questa storia si concluda con una sola parola: giustizia.