"Ha paura. Lui ha paura. È un teste che è stato intimidito. L'ha detto chiaramente in aula: ho paura per quando esco perché loro (gli agenti di polizia penitenziaria) hanno le pistole". Così ha affermato l'avvocato Fabio Anselmo, difensore della famiglia di Stefano Cucchi, lasciando la cittadella giudiziaria del tribunale di Roma. Oggi è stato ascoltato, in incidente probatorio, un altro testimone del pestaggio di cui sarebbe stato vittima Cucchi. "È un ragazzo albanese di 24 anni - ha detto il penalista - Le contraddizioni, rispetto a quanto dichiarato dall'altro detenuto, che era con Stefano la mattina del 16 ottobre, sono frutto secondo noi della paura".
Secondo quanto spiegato dall'avvocato Anselmo e dal suo collega Dario Piccioni, il giovane, che ha deposto davanti al gip Luigi Fiasconaro, dopo essere stato sentito dagli inquirenti della Procura di Roma, l'11 novembre scorso, venne avvicinato da alcuni agenti della penitenziaria, nel carcere di Velletri, dove era detenuto. "Ha spiegato, in aula, che venne convocato da un appuntato e poi da un comandante che gli chiesero informazioni rispetto alla vicenda. E questa cosa sarebbe avvenuta il giorno dopo che erano andato dai pm. Lui, comunque, nell'occasione, ha detto che avrebbe risposto solo in presenza di un avvocato".
La sorella di Stefano, Ilaria, ha aggiunto, rispetto al valore della testimonianza: "Tutto è utile per capire cosa è successo, sia in tribunale che altrove". In particolare l'immigrato ha spiegato di non aver visto Cucchi, ma una volta arrivato nei sotterranei di piazzale Clodio, nel corridoio delle celle, ha sentito una persona "piangere e lamentarsi, e che chiedeva di essere portato in ospedale". I difensori hanno cercato di capire "a quale ora collocare questo ricordo". L'albanese ha spiegato di non avere l'orologio ed ha fissato una forbice d'orario tra le 8.30 e le 12. "Troppo vago e in contrasto con quanto riferito dall'altro teste sentito in incidente probatorio", ha sottolineato uno dei difensori degli indagati.
Il gip Fiasconaro ha poi rigettato la richiesta di ascoltare anche il tunisino Tarek, del '65, che aveva firmato una lettera in cui in qualche modo indicava i carabinieri quali autori del pestaggio di Cucchi. L'uomo avrebbe spiegato ai pm non solo di non aver scritto la missiva, ma anche di averla dettata sotto pressione. I magistrati sono in attesa dei risultati definitivi dell'autopsia di Cucchi. Per la morte del giovane pusher sono sotto accusa tre agenti della penitenziaria, per il reato di omicidio preterintenzionale, e tre medici dell'ospedale Sandro Pertini, per omicidio colposo.
Antigone: tempi rapidi inchiesta per proteggere testimone
"Apprendiamo che un detenuto, testimone delle violenze subite da Stefano Cucchi, teme per la sua incolumità. La questione della protezione dei testimoni di pestaggi in carcere non è, purtroppo, nuova. Questo detenuto va protetto. E il modo migliore per farlo deve essere una inchiesta rapidissima, perché non si può proteggerlo per dieci anni?". Lo afferma ai microfoni di CNRmedia Patrizio Gonnella, presidente dell'Associazione Antigone. "Nelle carceri - continua Gonnella - i testimoni subiscono pressioni continue e nel caso di questo ragazzo albanese si tratta di un testimone-chiave. O si rompe il muro di omertà tra gli operatori del carcere, oppure bisogna affidarsi ai pochissimi testimoni coraggiosi. Questo detenuto va protetto. E il modo migliore per farlo deve essere una inchiesta rapidissima, perché non si può proteggerlo per dieci anni. E bisogna fare in fretta anche per questa nuova morte sospetta ad Alessandria, perché si trattava di un collaboratore di giustizia", conclude Gonnella.