Forse gl'hanno menato tutti. Le testimonianze finora raccolte dai due pm romani che indagano sull'omicidio di Stefano Cucchi sembrano rivelare uno stile di lavoro quantomeno "ruvido" da parte di chiunque abbia avuto in custodia il trentunenne arrestato per il possesso di pochi grammo di hashish. Però, finora, nel registro degli indagati mancano nomi di appartenenti all'Arma mentre figurano tre guardie carcerarie ed è appena raddoppiato, da martedì, il numero il numero dei medici sotto inchiesta. Per tutti i sei camici bianchi l'ipotesi è quella di omicidio colposo mentre per gli indagati in divisa l'omicidio sarebbe stato preterintenzionale. I nuovi nomi sono emersi dall'esame delle cartelle cliniche. Nelle carte provenienti dall'ospedale di particolare importanza il diario infermieristico in cui è annotata la protesta estrema di Cucchi che rifiutava gran parte di cibo, cure e acqua finché non avesse incontrato il legale di fiducia. Ma proprio i carabinieri gli negarono l'avvocato che indicò la notte dell'arresto e quello d'ufficio, che fu praticamente costretto a nominare in tribunale, non si recò mai al Pertini. Lo fecero i suoi familiari, sperando almeno di sapere come stava il ragazzo, sbattendo ogni giorno contro il muro di gomma delle giacche blu, gli agenti di custodia. Fu detto loro che serviva l'autorizzazione del giudice per parlare anche coi medici. Una settimana dopo la morte uscì un foglio, lo sventolò in Senato il guardasigilli, lo sbandierò in rete un settimanale di Berlusconi. Diceva che Cucchi non voleva si dessero notizie a chicchessia. Ma quella carta non sarebbe ancora nelle mani dei pm.
Era sul manifesto di ieri il resoconto degli interrogatori di altri due testi, due cittadini albanesi, arrestati la stessa notte, il 15 ottobre, passati per la caserma di Capannelle come lui, giunti a Piazzale Clodio nello stesso convoglio d'auto dopo una nottata in diverse caserme dei carabinieri. Quella mattina non si reggeva in piedi. I tre erano nella stessa camera di sicurezza nel sotterraneo della Città giudiziaria. «Che ti è successo?», riportava Cinzia Gubbini nell'articolo. «Mi hanno picchiato i carabinieri», sarebbe stata la risposta di Stefano. «E perché non lo dici?». «Perché sennò mi fanno le carte per dieci anni». La stessa paura, forse, che impedì a Cucchi di lasciarsi visitare poche ore prima quando l'ambulanza del 118 arrivò a Tor Sapienza dove i portantini videro solo i suoi occhi arrossati sotto le coperte in cui era avvolto e immobile. La stessa paura che lo attanagliò quando la giudice gli negò i domiciliari con la motivazione incredibile che fosse un senza fissa dimora quando i carabinieri avevano perquisito la sua stanza la notte prima. Prima di entrare nella camera di sicurezza stava bene, lo vide sua madre. Poi si sa che il padre, la mattina appresso in tribunale, notò la faccia gonfia per le botte. Un dettaglio che sfuggì al legale d'ufficio e alla giudice. Forse aveva già la schiena rotta. L'autopsia spiegherà meglio, forse. Uno dei testi, il cittadino gambiano che vide Stefano trascinato dalle guardie penitenziarie nel sotterraneo del tribunale, è stato condannato ieri a due anni per detenzione e spaccio. Ha patteggiato e già oggi potrebbe lasciare l'Italia ma ha già deposto in sede di incidente probatorio.
E stasera la "Ruspa" , Emanuele Della Rosa sfiderà, di fronte a ventimila appassionati in Pomerania Anteriore, il tedesco Sebastian Zbik per il mondiale Wbc dei pesi medi. Stefano era molto più mingherlino ma era amico della Ruspa e parlavano volentieri di boxe. Avrebbe tifato per Emanuele e, se stasera vincerà, il mondiale sarà dedicato a Cucchi.
Tutto ciò nel giorno in cui da Trento arriva la notizia dell'archiviazione dello strano suicidio di Stefano Frapporti , cui s'è giunti senza nemmeno ascoltare i testimoni dell'arresto da parte dei carabinieri. E da Teramo , dal carcere famoso per la registrazione del capo delle guardie che "raccomandava" ai suoi di pestare i detenuti lontano da occhi indiscreti, giunge la notizia dell'ennesima morte. Era un ragazzo di 23 anni, veniva dal Senegal. Era stato portato in ospedale per via di forti dolori addominali. La versione ufficiale è la solita: morte naturale . La stessa adoperata per giustificare la morte di Aldo Bianzino morto a Capanne, carcere di Perugia, nell'ottobre 2007. Fu trovato con addosso solo una maglietta non sua, rannicchiato, con la finestra aperta, il fegato spappolato. Fece le indagini lo stesso magistrato che lo arrestò. Due giorni fa l'archiviazione definitiva per tutti meno che per il comitato che si batte per verità e giustizia.