È un silenzio gelato come la neve che imbianca le montagne dell'Umbria quello che da ieri è sceso sul caso di Aldo Bianzino, il falegname di Pietralunga che ebbe il torto di entrare in prigione un altrettanto fredda sera di autunno per uscirne morto due giorni dopo. La procura di Perugia ha deciso con rapidità inesorabile e stupefacente di archiviare: di chiudere, in una parola, il capitolo. Di ignorare cioè le opposizioni degli avvocati alla richiesta di escludere la possibilità dell'omicidio. Aldo Bianzino morì per cause naturali anche se entrò in carcere sano. Solo preoccupato, forse, per la sua compagna, arrestata inspiegabilmente con lui, e per il figlio tredicenne Rudra, rimasto solo con la vecchia nonna in un casale sperduto sui monti dell'Alta valle del Tevere.
La tesi che fu solo il caso a far morire Aldo di quell'aneurisma che implacabile attendeva di scoppiare nella sua testa - tesi liberatoria che sul banco degli imputati mette solo il Fato e il Creatore - è stata dunque ribadita dalla decisione del Gip del tribunale di Perugia che mette i sigilli a un'inchiesta lacunosa su cui grava, lo voglia o meno il giudizio del tribunale, l'ipotesi dell'omicidio a carico di ignoti. Il giudice ha accolto la seconda richiesta di archiviazione del fascicolo avanzata dal pm Giuseppe Petrazzini. A entrambe le istanze si erano invece opposti i famigliari di Aldo. Cui resta tra le mani la sola omissione di soccorso a carico di una guardia penitenziaria e dunque l'ipotesi che alla fine lo Stato sanerà col denaro l'incapacità di accertare la verità.
Sarà quel processo, da celebrarsi la prossima estate, l'ultimo appiglio forse per far riaprire il caso. In quella sede, ripercorrendo quelle ore oscure al carcere di Perugia, la tentazione di vederci chiaro potrebbe risaltar fuori.
Proviamo a farlo ora. Bianzino entra in prigione il 12 ottobre 2007 ma la mattina di domenica 14 viene rinvenuto, inanimato, sulla branda superiore del suo letto. I suoi indumenti si trovano, ordinati, su quella inferiore. La finestra della cella è aperta e, sebbene sia ottobre inoltrato, Aldo indossa solo una maglietta a maniche corte. Per il resto è nudo. La notte si è lamentato ma solo al mattino viene trasportato fuori della cella e deposto sul pavimento del corridoio dell'infermeria, sita a pochi metri. Viene innalzato un lenzuolo così che gli altri detenuti non vedano.
Un medico dirà: "... non so spiegarmi per quale motivo sia stato portato sul pianerottolo davanti alla porta dell'infermeria ancora chiusa poiché (in altri casi) il nostro intervento avveniva direttamente in cella". Si tenta la rianimazione, effettuando il massaggio cardiaco: uno dei punti più controversi.
Le indagini rivelano subito "...lesioni viscerali di indubbia natura traumatica (lacerazione del fegato) e a livello cerebrale una vasta soffusione emorragica subpiale, ritenuta al momento di origine parimenti traumatica...". L'inchiesta si ferma lì: qualche interrogatorio, le perizie, i filmati del circuito chiuso. Viene aperto un procedimento nei confronti di una guardia per omissione di soccorso. Ma poiché l'autopsia ha rivelato che Aldo è morto per lo scoppio di un aneurisma cerebrale, il gioco è fatto. Il caso chiuso.
E il fegato "strappato" dalla sede naturale? E quella perizia secondo cui la lacerazione epatica deve "...essere ritenuta conseguenza di un valido trauma occorso in vita e certamente non può essere ascrivibile al massaggio cardiaco, in riferimento al quale vi è prova certa che avvenne a cuore fermo"? Ma è anche quella una tragica fatalità: la lesione epatica viene ritenuta estranea all'evento letale facendo escludere "... l'esistenza di aggressioni" perché, sostengono gli inquirenti, quella lesione fu l'effetto di un massaggio cardiaco. Così mal fatto da strappare il fegato che, com'è noto, non è esattamente di fianco al cuore.
Non è lecito ipotizzare che quell'aneurisma sarebbe potuto restare dormiente per alti vent'anni se un improvviso fatto traumatico (anche solo emotivo) non lo avesse sollecitato? E non è bizzarro pensare che il massaggio di un esperto possa "strappare" un fegato? Non era sufficiente tutto ciò almeno per un supplemento di indagine? Non aveva, Aldo Bianzino, se non il diritto di continuare a vivere, almeno quello di ottenere giustizia?