Quindici ore in carcere e una folla di perché. Un giovane di 32 anni morto senza che ci sia un apparente motivo. Una madre che accusa: «Era sano, me l'hanno ridato senza vita». Un'inchiesta per omicidio colposo contro ignoti, per ora. Un carcere, quello di via Burla a Parma, che si ritrova all'improvviso sotto i riflettori. Troppo presto, ancora, per fare analogie con il terribile caso di Stefano Cucchi: comunque una bruttissima vicenda, aperta a qualsiasi sviluppo, tutta da decifrare. Giuseppe Saladino aveva 32 anni, non era uno stinco di santo, ma nemmeno un delinquente incallito. Qualche mese fa, era stato condannato a un anno e due mesi di reclusione dopo essere stato pizzicato mentre faceva incetta di monetine in alcuni parchimetri del centro storico. Una condanna esemplare, come si dice in questi casi, con l'unica consolazione di poterla scontare a casa, agli arresti domiciliari, sotto gli occhi della madre, Rosa Martorano.
Tutto è filato liscio fino a venerdì scorso quando, a metà pomeriggio, Giuseppe, non rendendosi forse conto della gravità del gesto, è uscito di casa: di fatto, per il codice penale, si è trattato di una evasione. La sua passeggiata però è stata di breve durata. Sorpreso da una pattuglia della polizia e riconosciuto, è stato immediatamente portato nel carcere di via Burla. Addio domiciliari, per lui. Erano le 17 di venerdì quando le porte del penitenziario si sono chiuse alle sue spalle. Quindici ore dopo, alle 8 di sabato, in casa della madre Rosa è squillato il telefono. All'altro capo del filo c'era il direttore del carcere: voce bassa, tono di circostanza. Racconta la donna ai microfoni di Tv Parma: «Il direttore mi ha detto che Giuseppe era morto, che era stata una cosa improvvisa, inspiegabile, mi pare abbia parlato di un malore. Poi ha aggiunto che aveva voluto telefonarmi di persona perché aveva preso in simpatia il mio ragazzo e perché sapeva che siamo brave persone... ».
Parole, ovviamente, che non possono bastare a una madre. La donna, infatti, si è immediatamente rivolta a un avvocato, deciso a fare luce: «Voglio sapere, voglio che tutto venga chiarito, non può succedere una cosa del genere». Il lavoro del legale Letizia Tonoletti, alla quale si è rivolta Rosa Martorano, parte da un assunto («Il ragazzo, quando è entrato in carcere, era sano») e da un interrogativo («Cosa è successo in quel breve lasso di tempo?»). Due periti, uno nominato dalla famiglia, l'altro dal sostituto procuratore Roberta Licci, avranno il compito di risalire alle cause del decesso, prima tappa di un percorso investigativo che punta a ricostruire nei dettagli quelle maledette 15 ore trascorse dal giovane nel carcere di via Burla. L'autopsia è già stata eseguita, i risultati si conosceranno nei prossimi giorni.