Sui fatti di piazzale Clodio e la morte di Stefano Cucchi, la faccia ce la mette ora Leo Beneduci, segretario generale dell'Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria). "Per dare conto - dice - di un fatto". "C'è una pessima aria di caccia alle streghe. E siccome mi ribello ad un linciaggio di colleghi fino a prova contraria innocenti, siccome il clima nelle carceri inizia a diventare davvero pesante, è meglio allora che tutti sappiano cosa ha detto davvero Stefano Cucchi il pomeriggio del 16 ottobre lasciando le celle di sicurezza del tribunale di Roma. Cucchi - e lo hanno sentito i quattro agenti che lo trasferivano a Regina Coeli - si rivolse al detenuto africano con cui era ammanettato, il cosiddetto testimone, e non gli disse semplicemente "Guarda come mi hanno ridotto". Gli disse: "Guarda come mi hanno ridotto ieri sera". "Ieri sera", chiaro? Ecco, non mi pare debba aggiungere altro".
Se davvero sono state pronunciate, quelle due parole - "ieri sera" - rianimano evidentemente il sospetto sui carabinieri che ebbero in custodia Stefano per l'intera notte del 15 ottobre. Resuscitano la suggestione temporale annotata nel primo referto medico redatto alle 14.05 del 16 ottobre da Giovan Battista Ferri, il medico che visita Cucchi a piazzale Clodio, lì dove si legge che "il detenuto riferisce di una caduta dalle scale alle 23 della sera precedente". È un fatto che i quattro agenti del Nucleo traduzioni della polizia penitenziaria cui Beneduci fa riferimento, interrogati dalla Procura della Repubblica, quelle parole le abbiano messe a verbale. Collocando il colloquio tra Stefano e il detenuto africano S. Y. (il ragazzo che riferisce di aver visto il pestaggio di Cucchi nel corridoio delle camere di sicurezza) intorno alle 15 del 16 ottobre, quando i due, ammanettati allo stesso schiavettone, lasciano i sotterranei di piazzale Clodio per salire a bordo del furgone della Penitenziaria che li deve trasferire nel carcere di Regina Coeli. Di più: circostanziando quello scambio di confidenze con ulteriori elementi che indicherebbero nei carabinieri i destinatari dell'accusa di Cucchi.
Del resto, la testimonianza dei quattro agenti penitenziari si somma e sostiene il racconto che ai pm hanno fatto altri tre agenti. Quelli che la mattina del 16 erano comandati alle camere di sicurezza nei sotterranei del Palazzo di Giustizia. Un addetto alle quindici celle. Un piantone alla porta di ingresso della sezione. Un soprintendente. La loro ricostruzione delle ore che vanno dalle 9.30 alle 13.30 non coincide, se non in minima parte, con quella, per altro assai dettagliata, proposta dai quattro carabinieri delle compagnie "Casilino" e "Appio" che quella mattina scortarono in tribunale Cucchi e due detenuti albanesi ("Repubblica" ne ha dato ampio conto ieri). "Non è vero - sostengono infatti i tre agenti penitenziari - che i carabinieri si allontanarono per l'intera mattina dalle camere di sicurezza". "Al contrario - spiegano - le due "scorte" si alternarono nella zona delle celle", dove per altro, quella mattina, "i detenuti in attesa di processo per direttissima erano venti". Anche perché - e gli agenti ne avrebbero prodotto copia ai pm - una disposizione che risale al 2004 e firmata dall'allora presidente del tribunale Scotti, prescrive che chi è in attesa di giudizio per direttissima debba essere guardato a vista da chi ne ha effettuato l'arresto. Non sarebbe vero, dunque, che il maresciallo T. e il carabiniere A. apparvero nei sotterranei di piazzale Clodio soltanto una volta, intorno alle 11, per accompagnare a processo i due albanesi. Né sarebbe corretta l'ora - "le 12.50" - che gli stessi carabinieri indicano come il momento in cui Cucchi venne prelevato dalla camera di sicurezza per raggiungere l'aula del dibattimento, perché su questo punto farebbe fede il verbale di udienza che indica nelle 12.30 l'inizio del processo.
Ora, gli ingressi e le uscite dalla sezione che ospita le camere di sicurezza sono videosorvegliati da una telecamera collocata all'entrata. Dunque non dovrebbe essere difficile per la Procura ricostruire con le immagini registrate se e che tipo di traffico ci fu la mattina del 16 ottobre. Se, insomma, a ricordare bene sono i carabinieri o gli agenti di piantone alle celle. È evidente, tuttavia, che sia la testimonianza dei tre agenti penitenziari comandati alle celle, così come quella dei loro quattro colleghi che avrebbero ascoltato le confidenze di Cucchi durante il trasferimento a Regina Coeli, intendono ricacciare nel cono del sospetto i carabinieri, indicandoli come protagonisti in entrambi gli scenari possibili dell'aggressione. Se avvenuta la notte del 15 ("Guarda come mi hanno ridotto ieri sera"), perché unici custodi di Stefano. Se avvenuta la mattina del 16, perché presenti nei sotterranei di piazzale Clodio, dove - questa la suggestione - i testimoni li avrebbero ben potuti confondere con le "guardie" della Penitenziaria.
Un brutto affare, che ha già liberato e continuerà a liberare molti veleni. E in cui, tuttavia, gli avvisi di garanzia che la Procura si prepara a notificare oggi dovrebbero cominciare a mettere qualche primo punto fermo.