«Medici complici della sicurezza che uccide». Lo striscione arancione campeggia sulla recinzione del Pertini nel cui comprensorio spunta il bunker chiamato "repartino". Ce l'hanno messo gli studenti dell'Onda che sono stati a volantinare per reclamare verità immediata. Più tardi, decine di persone, chiamate dal tam tam di una radio, accenderanno lumini in Piazza del Campidoglio per ricordare Stefano Cucchi e il sindaco incontrerà i familiari.
Dietro le sbarre del repartino, il 22 ottobre, alle 6.20, è morto Stefano Cucchi, geometra di 31 anni dalla magrezza congenita resa ancor più grave da sei giorni di detenzione. Stefano era un pugile, viene raccontato, che andava a correre e in palestra. Il guardasigilli Alfano sembra aver visto un'altra persona quando dipinge il ritratto di un tossicodipendente all'ultimo stadio. Un altro ex ministro sarebbe in cerca di tracce del passaggio di Stefano in una comunità. Ma è roba vecchia. Le carte tirate fuori per supportare la «presunta morte naturale» che si vorrebbe far ingoiare alla famiglia, complicano il quadro anziché semplificarlo. Già, perché la relazione spedita dal Pertini in zona Cesarini, il 2 novembre, smentirebbe le cartelle cliniche e, chi l'ha letta, ha l'impressione che si voglia mettere sotto processo lo stile di vita della vittima e della sua famiglia. Succede nei processi per stupro, succede, lo spiegarono i pm della Diaz, anche nei processi contro i corpi di polizia. E anche il modulo con cui Stefano autorizzava la struttura a negare informazioni sulla sua salute a tutti, congiunti compresi, sembra posticcio, a oltre dieci giorni dalla morte e dopo l'ostentazione di pubblico rammarico all'indomani del decesso, «improvviso e inaspettato», viene ripetuto. Sulla firma dovrà dire l'ultima un perito calligrafico ma intanto la sorella Ilaria conferma che Stefano tentò un contatto con l'esterno. Una volontaria fu l'ultima persona a parlare con Cucchi. Lui stesso manifestò il desiderio di incontrare «una persona» perché recapitasse un messaggio alla sorella. Voleva incontrare suo cognato, magari era meno imbarazzante che incontrare i suoi, chiese una Bibbia per iniziarla a studiare, si preoccupò che la cagnetta fosse affidata a qualcuno che non avrebbe fatto storie quando lui fosse uscito dal carcere. Ci teneva parecchio a riaverla. E la volontaria, stando al racconto di Ilaria, avrebbe cercato una sistemazione per l'animale, magari al femminile di Rebibbia dov'è possibile tenere gatti e piccoli cani. Questo dettaglio testimonia la voglia di vivere del peso piuma da quattro giorni immobile in un letto d'ospedale particolare, quello di un reparto penitenziario. Il dettaglio più importante è senz'altro il tentativo di avere un contatto con l'esterno dopo la brutta sorpresa di trovarsi, all'udienza di convalida, con un legale d'ufficio e non con l'avvocato che aveva cercato di nominare.
La verità ufficiale fa acqua da tutte le parti. Ci sono buchi neri la notte dell'arresto e dell'interrogatorio: perché rifiutò di farsi portare al pronto soccorso dopo aver fatto chiamare l'ambulanza? C'è una sua firma in calce a quel diniego? Dai carabinieri solo l'ammissione che le loro camere di sicurezza non sarebbero alberghi a cinque stelle. Chi gli ha ridotto la schiena a pezzi e gli ha fatto ferite sul volto e sulle gambe? Un compagno di cella, che aveva taciuto imbarazzato quando un senatore gli chiese la stessa cosa ma di fronte alla polizia penitenziaria, ha detto al giudice che Stefano si confidò, che fu picchiato da qualcuno in divisa.
E poi ci sono punti di domanda sulla negazione dei domiciliari. Una delle ragioni la mancanza di fissa dimora. Ma come, se Stefano fu accompagnato dai carabinieri a casa per la perquisizione della sua cameretta? E come mai nessuno, tranne il padre, si accorse della faccia gonfia e nera durante l'udienza salvo poi spedirlo al medico della Città Giudiziaria? E, ancora, perché mai rifiutò il ricovero al Fatebenefratelli? E quel ricovero fu vagliato dal giudice quella notte?
Domande che marceranno sabato per le vie del quartiere dove Stefano è vissuto, Torpignattara, lo preparerà l'assemblea di stasera al Forte Prenestino.
L'inchiesta del pm continua su due binari, quello del pestaggio e quello dell'incuria.