Le foto segnaletiche di Stefano Cucchi hanno colmato un vuoto che si era aperto alla immaginazione di noi tutti: come quel ragazzo sereno e sorridente che si affaccia dagli album di famiglia abbia potuto trasformarsi in quel corpo martoriato che gli stessi familiari hanno voluto rendere pubblico? Dei molti scatti che avrebbero potuto raccontare quella metamorfosi (e che ciascuno in questi giorni ha provato a raffigurarsi, raccapricciando), quelle foto sono una piccola scelta, che aiuta però tanto la nostra immaginazione a fissarsi in un altro punto di realtà quanto l'attività investigativa a restare con i piedi per terra e a non farsi distogliere dalla ridda di ipotesi e di dichiarazioni che si affacciano come una cortina fumogena intorno alla tragica realtà della morte di Stefano Cucchi.
Servono, quelle foto, a fugare la posticcia condizione di incertezza che qualcuno ha voluto alimentare, a proposito della violenza subita da Cucchi dopo l'arresto, ma prima dell'ingresso nel carcere romano di Regina coeli. Qualche giorno fa avevamo addirittura letto del difensore d'ufficio che - in tribunale - non si era accorto di niente: appena finita l'udienza, in una stanza accanto, i medici di piazzale Clodio rilevano (quasi) tutto ciò che risulterà da numerosi accertamenti diagnostici successivi (in vita e in morte) sul corpo di Stefano Cucchi, ma il suo avvocato d'occasione non si era accorto di nulla ....
Speriamo in una caduta deontologica: (non dovrebbe, ma) capita che un difensore d'ufficio non guardi neanche in faccia il suo assistito. Altri potrebbero sospettare un potere di condizionamento dell'Arma e del suo Ministro, che già aveva fatto sentire la sua voce, naturalmente assolutoria, per partito preso.
La memoria torna a Genova, otto anni fa: ragazzini presi a calci in faccia da maturi signori appartenenti alle forze dell'ordine sotto gli occhi e le telecamere di mezzo mondo e non una parola di biasimo, un distinguo, un'eccezione. Così oggi Ignazio La Russa: «Di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto dei Carabinieri in questa occasione».
Nessuno, in un caso del genere, ha interesse a mettere sul banco degli imputati "i Carabinieri", né l'intero sistema penitenziario o di polizia: servirebbe solo a far perdere nelle fumisterie di responsabilità istituzionali o collettive, quelle specifiche e personali di chi ha abusato del corpo di Stefano Cucchi e di chi - forse - non gli ha prestato le cure e l'assistenza necessarie. Perché, allora, proprio dal Ministro la difesa d'ufficio (e quindi la - logicamente precedente - messa in stato d'accusa) dell'intero Corpo? Passione per le fumisterie? Per le notti in cui tutte le vacche sono bigie? Ma, in questo modo, non si aiuta la giustizia, e neanche l'Arma dei Carabinieri, costretta a sobbarcarsi il sospetto della responsabilità di alcuni suoi uomini in un fatto di morte e violenza. Meglio sarebbe, allora, caro Ministro, dire e far dire tutta la verità: meglio per Stefano e la sua memoria, meglio per la giustizia e i suoi apparati, meglio per l'Arma e chi ne veste la divisa.