Nella carceri italiane è stata forse reintrodotta la pena di morte? La domanda, per nulla retorica, sorge legittima dopo l'ultima raffica di decessi. Un detenuto tunisino, recluso nel carcere Torre del Gallo a Pavia, è morto il 5 settembre scorso dopo un lungo sciopero della fame. L'uomo, 42 anni, aveva smesso di alimentarsi da oltre un mese per contestare una nuova condanna emessa contro di lui per un'accusa di violenza sessuale. Il decesso è avvenuto in ospedale dove il tunisino era stato ricoverato dopo l'aggravarsi delle sue condizioni. La vicenda ricorda quella di Alì Juburi, un quarantenne iracheno deceduto nell'agosto 2008 dopo 80 giorni di digiuno nel carcere di L'Aquila. Entrambi stranieri, entrambi senza famiglia in Italia e senza denaro per garantirsi una adeguata difesa (Juburi era in carcere perché accusato del furto di un telefonino), entrambi protestavano la loro innocenza rifiutando di nutrirsi. Diversa la storia di Carlo Esposito, l'uomo astigiano detenuto a Torino, presso il carcere delle Vallette e malato già da tempo di schizofrenia. Il suo decesso sarebbe avvenuto lo scorso primo settembre, ma la notizia è stata divulgata solo ieri e solleva domande su come sia stato possibile ritenere compatibile col regime carcerario una persona ridotta a così precarie condizioni di salute. Esposito aveva più volte denunciato, tramite lettere, dei trattamenti sanitari non idonei, se non addirittura sbagliati.
Aprire subito un'indagine sui decessi che avvengono tra i detenuti delle carceri italiane e che secondo dati recenti, ma sottostimati, solo quest'anno sono stati 53 (di cui 33 suicidi), mentre sono circa 4 mila gli atti di autolesionismo segnalati dall'inizio del 2008. È quanto ha chiesto la deputata radicale-Pd Rita Bernardini, membro della commissione giustizia, che in un'interrogazione ha invitato il ministro Angelino Alfano a fare luce anche sul tipo di assistenza che è stata prestata al detenuto tunisino durante il lungo digiuno e sulla tempestività del ricovero in ospedale. Dal 1980 al 2007 ben 1371 detenuti si sono tolti la vita. Uno su tre era in isolamento. Dietro le sbarre la frequenza dei suicidi è 21 volte superiore rispetto al resto della società: ogni anno si registra un suicidio ogni 924 detenuti (uno ogni 283 in regime di 41-bis) a fronte di un suicidio ogni 20 mila abitanti. Non solo: ogni anno si registra in media un suicidio ogni 70 detenuti, un atto di autolesionismo ogni 10, uno sciopero della fame ogni 11 e un rifiuto delle terapie mediche ogni 20. Sono le fasce di età più bassa che risultano più a rischio, a differenza della società esterna dove invece il suicidio è più diffuso tra le persone in età matura. Sono alcuni dei dati che emergono dal volume, In carcere: del suicidio ed altre fughe , edito da Ristretti Orizzonti e curato da Laura Baccaro e Francesco Morelli.