Sami Mbarka Ben Gargi, detenuto tunisino, è morto dopo un lungo sciopero della fame durato oltre cinquanta giorni. Contestava l'accusa di violenza sessuale. In quel periodo ha perso ventuno chili. Pare che nei cinquanta giorni in cui si è astenuto dal mangiare sia stato tenuto sotto controllo medico. La Corte di Appello di Milano non lo aveva ritenuto così grave da concedergli la sospensione della pena.
Non è invece chiaro cosa sia accaduto a Sami Mbarka Ben Gargi dopo un primo rifiuto di ricovero all'esterno disposto dal magistrato di sorveglianza.
La questione dello sciopero della fame dei detenuti è una questione complessa. Pone almeno un paio di domande tra loro interrelate. Fino a che punto una persona è libera di autodeterminarsi? Fino a che punto esiste il dovere del custode di assicurare l'integrità personale dell'essere umano affidato alla sua custodia per legge?
Alla prima domanda sono legate almeno un paio di osservazioni: 1) dal versante giuridico l'articolo 32 della Costituzione protegge le scelte individuali estreme in quanto inequivocabilmente recita: "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana." La legge prevede il trattamento sanitario obbligatorio (Tso) solo nei casi in cui la persona è incapace di intendere e volere. Il Tso è disposto dal Sindaco su richiesta del medico. Le autorità penitenziarie possono al massimo sollecitarlo; ciò significa che una persona nel pieno della sua coscienza è libera di non mangiare anche se detenuto fino alle estreme conseguenze; 2) dal versante etico lo sciopero della fame, quale tecnica di tutela dei diritti umani, è accettabile solo se va a proteggere un diritto di almeno pari valore rispetto a quello messo in discussione con l'astensione prolungata dal cibo. La giustizia equa è un diritto di primo livello in base alla nostra Costituzione e alle Carte internazionali. Pertanto è eticamente accettabile lasciarsi morire per difendere la propria libertà.
Alla seconda domanda sono connesse più di una affermazione: a) il dovere di custodia non può arrivare sino all'alimentazione forzata dei custoditi altrimenti si priverebbe loro la possibilità di esercitare legittime forme di protesta. In una condizione di privazione della libertà di movimento le forme della protesta sono ovviamente limitate.
Bobby Sands morì di inedia dopo sessantasei giorni di sciopero della fame. Molti furono i detenuti turchi che protestarono fino alla morte pur di non essere trasferiti nelle carceri speciali. Lo sciopero fu definito sciopero della morte. Le organizzazioni per i diritti umani difesero la libera scelta dei detenuti che in questo modo fecero conoscere la loro storia al mondo; b) il dovere di custodia presuppone un obbligo di verifica delle condizioni di salute della persona ristretta, nonché di offerta di supporto psicologico e sanitario.
Tirando le somme, nessuno può interferire sulla libera e cosciente decisione di un detenuto di morire di inedia. È però dovere di chi ha la custodia di quel detenuto ascoltarne le ragioni e assicurargli tutto l'aiuto possibile. Il caso del detenuto tunisino più che un caso di cattiva custodia è un caso emblematico di giustizia bendata nell'era del sovraffollamento delle prigioni. Oggi più che mai i provvedimenti sono presi dalla magistratura senza avere mai visto in faccia i loro condannati. Un detenuto tunisino è di solito considerato un numero. Oggi si parla della sua morte. Se i giornali avessero parlato della sua protesta prima che morisse forse oggi non sarebbe morto.