Ennesimo record di presenze. Intervista a Luigi Pagano, capo degli istituti lombardi.
I detenuti oggi hanno raggiunto quota 64 mila stabilendo il nuovo record negativo in tema di sovraffollamento. La politica brancola nel buio e fatica a trovare risposte. L'annunciato piano carceri non decolla. Per fare chiarezza Vita intervista Luigi Pagano, provveditore delle carceri in Lombardia, che analizza le problematiche e le possibili soluzioni.
In che situazione è il sistema carcerario lombardo?
Il sovraffollamento lombardo, pur essendo il più alto in termini assoluti in Italia, non ha ancora raggiunto i numeri pre indulto. Gli istituti che soffrono maggiormente sono quelli un po' vecchi come San Vittore a Milano o il carcere di Brescia, che non solo hanno alta densità di presenze ma anche un turnover di persone in ingresso molto elevato che il vero elemento di crisi del sistema.
Il piano carceri sembra prevedere 17 mila nuovi posti letto. È una possibile soluzione al problema?
Il piano carceri è in mano al ministro e verrà presentato in parlamento dunque non conosco i particolari. Per quanto riguarda l'aumento dei posti letto sicuramente è una cosa positiva ma insufficiente per risolvere il problema. Sul numero non mi pronuncio perché fare una stima, soprattutto quando si parla di penitenziario penale, è pressoché impossibile. Serve di più. Si deve pensare ad esempio a rafforzare i rapporti con l'estero per permettere che i detenuti stranieri scontino la pena nei paesi d'origine e pensare alle misure alternative alla pena detentiva.
Si pensa anche di assumere nuovo personale per riuscire a gestire meglio la grande quantità di carcerati?
Anche questo dipende dalla politica e dal governo in particolare, ed è evidente che esiste una carenza di personale, non solo per quanto riguarda gli agenti di sorveglianza ma anche in termini di educatori e psicologi, e le assunzioni sono necessarie. È altresì chiaro che se la situazione del sovraffollamento, che le assunzioni non possono risolvere, rimarrà così si rischia di vanificare proprio quelle risorse in più impegnate.
Prima ha accennato alle misure alternative. Sono una strada da percorrere?
Non sono solo una strada da percorrere ma anche percorribile in quanto prevista dalle leggi di riferimento con tante misure diverse dalla detenzione. In questo caso però non basta l'impegno dell'amministrazione penitenziaria e dei giudici, serve anche un imput forte dall'esterno. È necessario creare un humus, una cultura che in Italia è presente solo a macchia di leopardo. In Lombardia c'è, magari poco organica ma reale, in altre regioni è assolutamente latitante. Questo è il motivo per cui in pochi, rispetto a quelli che ne avrebbero diritto, riescono ad ottenere le misure alternative: non ci sono, molto spesso le condizioni materiali.
Che prospettive per il futuro?
Siamo positivi, e crediamo che si riuscirà ad uscire dall'empasse. Mentre aspettiamo che la politica, con i suoi tempi, porti a termine il piano, noi lavoreremo sia per attenuare i disagi del sovraffollamento con il nostro personale, gli educatori, psicologi e il volontariato che in Lombardia è ricchissimo, sia per creare le condizioni di sicurezza per portare fuori il maggior numero di detenuti e favorirne il reinserimento nella società. Solo se ci sarà un impegno di tutti allora si troveranno soluzioni valide. Il piano da solo non può essere risolutivo.