Ennesima tragedia in carcere. Luca Campanale, un detenuto di 28 anni, si è ucciso la notte del 12 agosto scorso impiccandosi alla finestra del bagno della sua cella nel carcere di San Vittore a Milano.
Quando le tragedie sono annunciate allora non resta che la frustrazione amara di chi aveva lanciato allarmi per scongiurare un triste epilogo, tanto più devastante quando la vittima di un suicidio che si sarebbe potuto evitare è il proprio figlio. Non si dà pace Michele Campanale, pur nella rassegnazione a cui deve abituarsi, ora che Luca, 28 anni, se ne è andato impiccandosi alla finestra del bagno della sua cella a San Vittore. Non dovrà più corrergli dietro. Lo faceva sempre da quel giorno in cui Luca, allora diciassettenne, sopravvisse a un brutto incidente. Da quel momento la sua vita si trovò costretto a seguire le peripezie di una testa che non funzionava più a dovere.
Due tentativi di suicidio, due trattamenti sanitari obbligatori, il tutto condito da numerosi ricoveri in comunità terapeutiche di disintossicazione dalla dipendenza - catalizzata dai suoi problemi psichici - da alcol e cocaina. Tutto scritto nero su bianco sulle perizie psichiatriche prodotte in sede processuale, portate in aula nelle udienze per quelle due rapine, e in appello. Secondo l'avvocato di famiglia, da queste perizie emergerebbe l'assoluta incapacità di intendere e di volere del ragazzo. Ma tant'è, le sentenze sono due condanne a due anni di reclusione ciascuna, e ulteriori sei mesi di permanenza in una casa di cura e custodia.
La patologia non la si può negare, è bollata e certificata, ma per i giudici è solo parziale, e questo dà loro modo, sottratta una doverosa diminuente della pena, di assicurare Luca alla giustizia. Ed è proprio quella giustizia, quella stessa che, nonostante i suoi ripetuti avvertimenti e allarmi, ha concorso all'estremo gesto del figlio, che ora Michele vuole interrogare e mettere alla prova, portandola in causa innanzi a sé stessa. Per capire come muoversi in un campo tanto delicato, da poco Michele ha postato un messaggio sul sito della senatrice Poretti, radicale che si è spesa con generosità nell'iniziativa della sua compagna di partito Rita Bernardini, "Ferragosto in carcere 2009", campagna che ha visto la partecipazione di numerosi parlamentari e consiglieri di ogni schieramento in una massiva visita ispettiva presso 189 dei 220 istituti di pena italiani.
Intanto, per il caso del suicidio tra le sbarre di Luca Campanale, la senatrice Poretti ha già preparato un'interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, in cui si ricorda che, stante la comprovata sofferenza psichica del detenuto e il pericolo che commettesse atti gravemente autolesionistici e suicidi, questi veniva pochi giorni prima del suo gesto trasferito in una cella non dotata di adeguati sistemi di controllo e dove non si provvide alla vigilanza nei suoi confronti.
A nulla valse, dunque, il profluvio di lettere e parole veicolanti preoccupazioni sulle condizioni psichiche di Luca, intercorso tra il padre, il legale di famiglia e le direzioni sanitarie degli istituti di pena dove era alloggiato. E a nulla valsero pure le indicazioni dei medici che lo visitarono nel carcere di Pavia e che ne raccomandarono "il trasferimento urgente presso altra struttura protetta, al fine di rendere possibile al giovane quelle cure mediche di cui realmente bisogna".
Perizia che la terza sezione penale del Tribunale di Milano ha interpretato in modo da motivare il rigetto di un'ultima istanza di trasferimento, notifica che è arrivata solo poche ore prima del suo suicidio. Del perché di tale trattamento per un soggetto la cui vigilanza avrebbe dovuto essere alta la senatrice chiede conto; inoltre, suggerisce che, in attesa di una causa civile da parte del padre di Luca, si svolga un'indagine ministeriale per capire se non ci siano state responsabilità e negligenze professionali da parte di chi avrebbe dovuto garantirne l'incolumità anche in prigione.