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A Sollicciano si muore. In tanti, e senza perché
Daniele Nalbone
Fonte: Liberazione, 14 agosto 2009
14 agosto 2009

La pianta del complesso del carcere di Sollicciano è a forma "giglio", simbolo di Firenze. Un carcere il cui il numero dei detenuti supera, in pianta stabile, le mille unità da anni, nonostante la capienza regolamentare sia di 447. A pochi metri delle mura due lingue di asfalto, l'autostrada del sole e la Fi-Pi-Li, tagliano il territorio, un tempo ricco di campi agricoli e ancora caratterizzato da casali e ruderi.
Un ambiente agreste, lontano dai nuovi quartieri ormai saturi di abitazioni di Firenze, una delle città simbolo dell'indiscriminata espansione urbana. Le vie che portano alla casa circondariale sono semideserte, il silenzio è rotto soltanto da qualche tir in transito sull'A1. Per arrivarci bisogna prendere via Minervini, una di quelle strade che non vorresti mai percorrere. Una strada che porta spesso verso il nulla più totale, alcune volte senza uscita. Così è stato per Niki Aprile Gatti, un ragazzo avezzanese, residente da due anni a San Marino, trovato impiccato il 24 giugno 2008 in una cella di Sollicciano poche ore prima di deporre su un caso di truffa telefonica e frode informatica fra San Marino e Londra. Un'inchiesta di quelle che scottano, in cui sono implicati loschi personaggi della criminalità organizzata e imprenditori senza scrupoli.
Purtroppo Niki non è stato il solo detenuto a perdere la vita in questa struttura. Prima di lui tante altre persone hanno trovato la morte a Sollicciano, così come sarebbe accaduto subito dopo la sua scomparsa. Fino ad oggi. Dall'inizio del 2009 qui sono deceduti M.B., 60 anni, morto il 30 gennaio impiccandosi alle sbarre di ferro della cella; Ihssane Fakhreddine, un ragazzo palestinese, morto il 24 aprile in circostanze poco chiare: prima di andare a dormire era stato visitato dal medico del carcere e il suo stato di salute era perfetto. Il dottore fu l'ultima persona a vederlo in vita. Morì quella stessa notte. Il 12 giugno fu il turno di Anna Nuvoloni, 40 anni, sembra strozzata con un "filo" di mozzarella. Ma dal giorno seguente il sospetto che gira nei padiglioni del carcere è che invece si sia trattato di omicidio da parte di una detenuta psicolabile che le avrebbe, con la forza, spinto la mozzarella in gola per soffocarla. E per malore, come spiegano dagli uffici di Sollicciano, è scomparsa lo scorso 7 luglio una ragazza di 27 anni, detenuta per piccoli reati legati alla tossicodipendenza. Sembra che la donna possa aver sniffato gas da un fornellino. Morti strane.
Direttore della struttura dal 2004 è Oreste Cacurri. Il primo a perdere la vita in circostanze non chiare fu un detenuto marocchino, il 2 marzo del 2004. Il suo corpo fu rinvenuto da un compagno di cella con un rivolo di sangue che gli scendeva dalla bocca: overdose di farmaci, l'ipotesi. L'11 giugno fu la volta di Khaled, algerino di 34 anni, impiccato. Il 21 giugno morì nella sua cella, appena rientrato da un permesso premio, pochi minuti dopo esser stato sottoposto a visita medica, Giuseppe Mazzantini, 30 anni: dall'autopsia non emerse nulla di macroscopico, motivo per cui la sua morte venne dichiarata "non accertata". Tre persone furono rinvenute impiccate nel 2006: Dario B., 73 anni; Santo Tiscione, 45 anni,; Sorin R., 32 anni, in attesa di giudizio e richiuso a Solliciano da due mesi.
Prima di essere trasferito in una delle carceri più dure e importanti d'Italia Cacurri era direttore della casa circondariale di Livorno negli anni in cui si verificò il caso Marcello Lonzi. Marcello aveva 29 anni ed era in carcere per scontare una pena di 8 mesi per tentato furto. Era in attesa di usufruire dell'"indultino" quando morì, il 12 luglio 2003, per causa non accertata: infarto fulminante, disse l'autopsia, e il suo caso venne archiviato. Alla prima autopsia richiesta dalla Procura di Livorno, che poi concluse le indagini con l'archiviazione, a Marcello vennero riscontrate due costole rotte. Due che, però, diventarono otto quando, dopo diversi ricorsi da parte della madre, Maria Ciuffi, venne riesumata la salma del ragazzo. Le foto del cadavere di Marcello parlano da sole: si vede un corpo martoriato e pestato a sangue, «fino alla morte» dichiara la madre, che lo scorso 11 luglio, in un presidio organizzato fuori dal carcere delle Sughere, racconta di aver assistito direttamente «alla testimonianza di un allora detenuto nella sezione dove è successo il fatto». Un racconto che gela il sangue: «tra le 15.30 e le 17», ripete la madre «i secondini hanno chiuso i portoni delle celle e nella sezione si sentivano voci sconosciute e rumori distinti di passi veloci che facevano capire che stava succedendo qualcosa di grave a qualche detenuto. Solo l'indomani mattina vennero a sapere della morte di mio figlio».
Una madre coraggio alla quale si "accoda" cinque anni dopo Ornella che, dal 25 giugno 2008, giorno in cui ricevette la maledetta telefonata che le comunicò la terribile notizia, lotta per ottenere giustizia sulla morte di suo figlio Niki, detenuto nella cella numero 10, reparto B, sezione 4 di Sollicciano, e trovato impiccato nel bagno durante l'ora d'aria. Un'ora dove a Sollicciano può succedere di tutto.
Anche nella vicenda di Niki, morto nel carcere fiorentino, come in quella di Marcello, morto a Livorno, si registrano gravi incongruenze fra l'autopsia e la perizia di parte. Speriamo solo che il caso di Niki non finisca come quello di Marcello: archiviato.