Il Prefetto Mario Morcone è responsabile del "Dipartimento libertà civili e immigrazione" del ministero dell'interno, a cui compete la gestione operativa dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie). A breve dovrebbe divenire legge il prolungamento dei tempi di trattenimento dei migranti (da 2 a 6 mesi), un provvedimento su cui sono state espresse numerose perplessità.
"Intanto aspettiamo l'approvazione. Sei mesi comunque debbono divenire il tempo massimo e non la norma. E coloro che dovranno restare per tutto quel periodo debbono vedersi assicurata una qualità del trattenimento particolare. Penso ad attività sportive o a coni di informatica. Insomma a gestire meglio il tempo. Poi, come ha affermato più volte il ministro, occorreranno altri Cie nelle regioni che ne sono sprovviste".
Parlando anche con i funzionari di polizia si sente dire che tempi così lunghi sono inutili...
Dobbiamo lavorare e auspicare che nei Cie entrino solo le persone che effettivamente siamo determinati a rimpatriare, coloro che hanno dato chiari segnali di non rispettare le regole o la convivenza civile. Ottenere che, di fronte all'ipotesi di sei mesi di trattenimento, decidano di farsi identificare e rimpatriare. Ma è importante che nei Cie non ci finiscano "badanti" irregolari, lavoratori in nero, sia perché non sono persone che destano pericolo sociale sia perché, cinicamente, è anche una questione di costi.
Ma questo non rischia di creare una condizione di discrezionalità al di fuori dalla legge?
Il fatto che la detenzione amministrativa sia una forma di prigione senza condanna è una realtà che fa parte degli ordinamenti di tutti i paesi europei. Anzi, dopo la direttiva Ue che fissa a 18 mesi i tempi massimi, che ha anche impedito l'arbitrio di una detenzione a tempo indeterminato, noi ci siamo attestati su sei mesi. La detenzione nei Cie non è mai una cosa bella. Io non ho mai pensato che i Cie fossero luoghi di villeggiatura. Se riusciamo a garantire un effettivo accompagnamento al paese di provenienza si può gestire, ma sempre evitando di rinchiudere irregolari che non determinano problemi".
Di fatto girando nei Cie capita di trovare molto spesso ex detenuti che hanno già scontato la pena e rom dell'ex Yugoslavia.
Sono due problemi reali. Per gli ex detenuti due anni fa è stato sottoscritto fra i ministeri di grazia e giustizia e dell'interno, il protocollo per avviare un percorso comune. Per fare cioè in modo che l'identificazione venga fatta in carcere. Ma chi esce dal carcere continua a resistere all'identificazione, nella speranza di poter avere un foglio di via e restare, irregolarmente, in Italia.
Non se ne vedono ancora di risultati...
Questo in gran parte è purtroppo vero. Per i rom la questione è ancora più complessa. Spesso sono nati in Italia o addirittura figli di persone nate in Italia. Non hanno una registrazione anagrafica di un paese che non esiste più e infatti non possono neanche procurarsi documenti. È una questione che riguarda qualche migliaio di persone e che non si può risolvere né con trattenimenti nei Cie né con espulsioni non eseguibili. Credo che la soluzione passi per una revisione della legge sulla cittadinanza. Si tratta di persone e bisogna trovare una via di uscita.
Nel frattempo in alcuni Cie le condizioni di vita peggiorano. Cosa pensa della situazione di Ponte Galeria a Roma?
Ponte Galeria è uno dei centri più difficili. Oltre trecento "ospiti" in uno spazio in cui si è abusato di troppo ferro e di troppe sbarre, sembra quasi un circo. La gara d'appalto per la nuova gestione è scaduta e dobbiamo ripensare il centro stando più attenti alla qualità dei servizi. È un centro della "prima generazione" e andrebbe ripensato alla luce di strutture migliori come Bari o Torino. Ma smontare Ponte Galeria non è facile, anche dal punto di vista dei costi. Però mi permetta di dire una cosa: da due anni noi abbiamo aperto i centri a operatori dell'informazione, istituzioni locali e associazioni. Giustamente ci arrivano segnalazioni rispetto alle cose che non vanno, si denunciano le inefficienze e questo personalmente mi è anche utile per poter monitorare ogni centro. Però mi sarei aspettato anche una collaborazione positiva delle istituzioni; c'è stata solo in Emilia con l'associazione "S.O.S. Donne", che garantisce servizi al Cie di Bologna. Per il resto tutti si sono tenuti alla larga quando si è trattato di collaborare.
Forse perché in molte Regioni più che la mancanza di coraggio politico non si condivide l'esistenza dei Cie?
Capisco e rispetto, ma è un atteggiamento che non porta alcun beneficio ai poveretti che ci sono dentro. Le istituzioni dovrebbero svolgere un ruolo di verifica costante ma anche dare una mano.
E cosa dice rispetto ai nuovi Cie che dovrebbero aprire?
Si faranno. Nelle regioni in cui ce n'è bisogno e anche in questo caso gradiremmo una collaborazione. Se le Regioni ci indicheranno dove realizzarli lo faremo. Se non ci daranno indicazioni si faranno ugualmente.
A proposito, ci sono spazi come quello di Cagliari Elmas, che sono stati utilizzati anche come Cie.
Sì da febbraio ad aprile siamo stati costretti a riconvertire in Cie alcune strutture. A gennaio era accaduto a Lampedusa, poi a Crotone e a Cagliari. Per Cagliari dal 15 maggio la struttura è tornata a essere un centro di accoglienza. D'altra parte sorge in un comprensorio militare, è difficile garantire ingresso e uscita. Ci sono stati anche problemi perché un ragazzo fuggendo è scappato sulla pista di volo dell'aeroporto scatenando le proteste dell'aviazione civile. Comunque posso assicurare che non diventerà il Cie sardo, non ne ha i requisiti, sarà un centro di accoglienza e transito come Lampedusa, con meno posti e meno strutture.
Ma non avverte su di sé la responsabilità della vita di ogni persona che transita in uno dei Cie?
Sì, è spesso in questo ruolo che mi sono sentito esposto e mi sono domandato cosa sarebbe meglio fare per me. Forse sarebbe facile scappare e alleggerirmi dal ruolo ma non ne sarei orgoglioso. Sono un funzionario dello Stato e voglio giocare tutta la partita, sapendo che a volte riuscirò a fare cose soddisfacenti ma che molte altre occasioni mi riserveranno tristezze. Ma è un impegno a cui non intendo sottrarmi.