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«Mio figlio non si è suicidato. Voglio sapere come è morto»
Daniele Nalbone
Fonte: Liberazione, 28 aprile 2009
28 maggio 2009

Anche ad Avezzano il terremoto ha fatto i suoi danni e portato terrore. «Molta gente dorme ancora nelle macchine. Siamo sempre in stato d'allarme. Soprattutto perché ognuno di noi ha parenti, amici, colleghi che vivono a L'Aquila», racconta Ornella Gemini.
Il suo pensiero, come quello di tutti, è per chi è vivo: «il dramma vero è vissuto da coloro che hanno perso tutte quelle cose a cui non si pensa mai, perché le diamo per scontate».
La mente di Ornella, però, corre ogni notte a casa di quelle madri che hanno perso un figlio nella Casa dello Studente. Perché sa cosa vi troverebbe: «una mamma seduta in un angolo di divano che non riesce a dormire anche se imbottita di psicofarmaci. Sta lì, raggomitolata su se stessa, piange disperatamente il mondo che aveva tra le mani e il vuoto attuale».
Ornella suo figlio lo ha perso il 24 giugno scorso, «"suicidato" nel carcere di Sollicciano, impiccato nel bagno».
Niki Aprile Gatti aveva solo ventisei anni. Da un anno e mezzo viveva a San Marino dove lavorava come informatico per un gruppo di aziende oggetto di un'inchiesta per truffa telefonica e frode informatica del magistrato fiorentino Paolo Canessa. Le società incriminate sono la Oscorp Spa, Orange, Ot&T e Tms, tutte residenti a San Marino, la Fly Net di Piero Mancini, presidente dell'Arezzo Calcio, più altre società con sede a Londra. «Niki era un genio del computer purtroppo capitato nelle mani di una serie di criminali» spiega Ornella.
«Alle 13,25 di quel 24 giugno mi arriva una telefonata sul cellulare - racconta - qualcuno, con tono freddo, mi chiede di parlare con la mamma di Aprile Gatti Niki. Sono io, rispondo». Dal telefono, senza il minimo tatto, le viene allora riferito che dall'altra parte «è in linea il carcere di Sollicciano, una brutta notizia: suo figlio si è suicidato».
Il giorno prima del sisma che ha distrutto l'Aquila, Ornella aveva scritto una lettera al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano chiedendo giustizia. Perché «mio figlio non si è suicidato. E questo non è l'ultimo appello di una madre disperata ma la realtà, e i fatti lo dimostrano. Per questo motivo qualcuno si sta affrettando perché il caso venga archiviato. Ma io non lo permetterò».
La mattina del 19 giugno Niki viene chiamato dalla madre del suo socio che lo avvisa dell'arresto del figlio la sera precedente e lo prega di recarsi a Cattolica presso lo studio dell'avvocato Marcolini, il legale della Oscorp, la ditta per cui entrambi lavorano, per avere notizie.
Ma quando esce dal portone dello studio anche Niki viene arrestato.
Prima domanda: «Vi sembra il comportamento di una persona che temeva di finire in prigione?».Seconda domanda: «Se davvero avesse fatto qualcosa, perché non è scappato invece di recarsi nella "tana del lupo"?».
Ornella viene a sapere dell'arresto del figlio alle 14.30. Cerca di contattare qualcuno a San Marino ma non riceve risposta. «Chiamo anche il miglior amico di Niki per avere i riferimenti dell'avvocato aziendale e raggiungo al telefono l'avvocato Marcolini, il quale mi sconsiglia di recarmi a Rimini, dove era stato portato mio figlio insieme al titolare della Oscopr e ad altre 17 persone, anche loro arrestate lo stesso giorno». «E' inutile che si rechi lì - mi dice - perché si trova in isolamento, e lo sarà per tre giorni, quindi non avrei potuto vederlo». Niki però nel carcere di Rimini non ci ha mai messo piede: «ma di questo vengo a conoscenza solo quando mi hanno riconsegnato, a settembre, la documentazione del carcere».
Niki, quindi, è stato l'unico degli arrestati ad essere portato direttamente nel penitenziario di Sollicciano, carcere "duro" di Firenze, e sarà l'unico degli incriminati a non avvalersi della facoltà di non rispondere davanti ai pm.
Intanto iniziano strani movimenti. «Gente che da Avezzano inizia a partire per San Marino, continue telefonate che mi "consigliano" di cambiare avvocato. Ma io decido di tenere quello aziendale, convinta che ne sapesse di più di qualunque altro legale sulle attività che mio figlio svolgeva per conto della Oscorp».
Alle 20.58 del 20 giugno, però, qualcuno invia un telegramma non firmato a Niki dalla sua stessa abitazione a San Marino: «Devi nominare l'avvocato Umberto Guerini» del foro di Bologna. Niki riceve il telegramma solo il 21 giugno, dopo tre giorni di isolamento, e ovviamente si fida del consiglio. Terza domanda: «chi ha inviato quel telegramma?».
Lunedì 23 giugno Ornella e suo marito partono alla volta del tribunale di Firenze, dove hanno appuntamento con l'avvocato Marcolini, ancora inconsapevole di essere stato destituito.
«Arriviamo proprio mentre giunge il blindato della polizia penitenziaria - racconta Ornella - e tra le sbarre riesco a intravedere Niki». Intanto arriva l'avvocato Marcolini, in leggero ritardo, e sale verso l'aula. Pochi minuti «ed eccolo tornare indietro. Mi chiama da parte e mi riferisce che Niki stava già parlando con i Pm dell'indagine, ma con un altro legale». Solo in quel momento, direttamente al tribunale di Firenze, Marcolini viene a sapere di essere stato ricusato. Domanda quattro, cinque e sei: «E ora? Chi è questo nuovo avvocato? Che faccio adesso»?
Dopo quattro ore di interrogatorio Niki esce: «vedo il blindato che fa manovra per riprenderlo. Gli corro dietro. Voglio, devo vederlo. Voglio solo dirgli che insieme saremo usciti da questo incubo, che ce l'avremo fatta». Gli agenti, però, la allontanano. «Deve stare ad almeno 20 metri di distanza o arrestiamo anche lei», le urlano.
Ornella vede uscire il nuovo avvocato, una donna che lavora per lo studio Guerini, «le corro incontro e le chiedo aiuto. Devo vedere Niki, anche in sua presenza, ma lei mi risponde che avrei dovuto attendere le 48 ore successive all'interrogatorio». Ornella torna ad Avezzano. Ma dopo solo 20 ore la telefonata. «E finisce tutto».
Suicidio. Dicono. Durante l'ora d'aria, in bagno. E' strano, però, che un ragazzo di 26 anni, incriminato "solo" per truffa informatica, che decide di collaborare con la giustizia, decida di darsi la morte. Certo, per il garante dei detenuti della Regione Toscana, Franco Corleone, Niki «forse si era scoraggiato pensando a una lunga detenzione e poi...aveva cambiato avvocato, altro segnale di inquietudine» dichiarò a La Repubblica il 25 giugno. «Hanno anche usato il fatto che Niki è stato costretto a cambiare legale per dimostrare la sua debolezza», denuncia Ornella.
Intanto suo marito e il cognato partono alla volta di San Marino per chiedere al padrone di casa di Niki un paio di mesi di tempo per svuotare l'appartamento. Ma appena il proprietario di casa apre la porta, regolarmente chiusa, i tre vedono che all'interno non c'è più nulla: nessun vestito, nessun effetto personale e, soprattutto, niente pc. «Neanche una maglietta da abbracciare la notte per sentire l'odore di mio figlio».
Domanda sette: «a chi interessava ripulire l'appartamento»?
Intanto trascorrono 90 giorni e il Pm che si occupa dell'ipotesi di suicidio di Niki archivia il caso. Allora Ornella parte alla volta di Firenze per ritirare la documentazione del carcere.
Nel verbale si legge la testimonianza di un agente secondo cui, lui e Niki alle 10 del 24 giugno stavano parlando del processo. Ma l'autopsia riporta proprio alle 10 del 24 giugno il momento del decesso. Solo questo, di per sé, dovrebbe vietare l'archiviazione del caso.
Domanda otto: «dove hanno parlato Niki e l'agente visto che nel verbale non è riportato?».
Domanda nove: «a che ora si sarebbe suicidato Niki?».
Come non bastasse, nell'autopsia si legge che l'impiccagione è avvenuta con dei lacci e dei jeans tagliati, «evidentemente inidonei a sostenere un corpo del peso di 92 chili». Nel bagno inoltre «non c'è altezza sufficiente tra i jeans appesi e il pavimento».
Domanda dieci: «com'è possibile per un detenuto avere con sé in carcere dei lacci?»
Ornella ha però trovato il coraggio di guardare anche le foto di suo figlio senza vita e immediatamente ha constatato come Niki fosse «in pigiama, pur avendo con sé due paia di jeans e non solo quelli con cui ha commesso il gesto». Ma la cosa che fa aumentare i dubbi è il fatto che Niki si sia suicidato durante l'ora d'aria «e nessuno esce mai in pigiama all'ora d'aria».
Non solo: al momento dell'autopsia il dottor Giuseppe Fortuni, perito di parte degli agenti incriminati nel caso Aldovrandi e in quello Bianzino, nella rappresentazione suicidaria, ha parlato di un segno di circa 6-7 centimetri lasciato dal cavallo dei jeans sul collo ma «il 24 settembre, dalle foto inserite nella documentazione, vedo che non c'è nessuna striscia di quelle dimensioni ma solo il segno di un laccio». Il 17 ottobre arriverà anche la consulenza tecnica medico-legale di questo dottore e... della striscia di 6-7 centimetri, nessuna traccia. «E sì...il dottore si è confuso» mi risponderanno dallo studio dell'avvocato Guerini, «oggi amministratore della SofiSa», società finanziaria sammarinese dove Niki faceva il consulente.

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Una precisazione della famiglia di Niki Aprile Gatti

Caro direttore, in qualità di famiglia di Niki Aprile Gatti, vi precisiamo che l'articolo del 28 aprile a firma di Daniele Nalbone aveva delle imprecisioni. Nel telegramma l'ordine dato a Niki è di nominare l'avv. Giuseppina Morelli del foro di Bologna, che fa parte dello studio Guerini, non di nominare l'avv. Umberto Guerini, che comunque subito mi affiancherà insieme all'avv. Morelli. Il prof. avv. Umberto Guerini non è amministratore della Sofisa, ma bensì presidente. Nel ringraziarvi ancora per la disponibilità e per l'enorme lavoro che quotidianamente svolgete al servizio di noi cittadini, distintamente salutiamo.
Ornella Gemini