È allarme per i diritti umani di chi sbarca. La denuncia delle associazioni in un incontro al San Gallicano. Boldrini (Unhcr): "Bellissima la solidarietà per l'Abruzzo, ma per i 300 morti nel Mediterraneo nessun lutto collettivo"
C'è uno spartiacque, un prima e un dopo nella storia di Lampedusa. Sull'isola degli sbarchi "è saltato il modello di gestione dell'identificazione, del primo soccorso e dell'accoglienza", dopo il 24 gennaio, quando il centro di accoglienza dei migranti è stato trasformato in Centro di identificazione e di espulsione.
A dirlo sono le principali Associazioni e Ong presenti sul posto con il progetto Praesidium, che da tre anni fornisce l'assistenza alle persone che arrivano alla frontiera sud dell'Italia dopo la traversata del Mediterraneo. Una testimonianza portata all'istituto San Gallicano per l'incontro "Clandestino:quale destino per il clan degli sbarchi".
Tra loro, Save the children, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni e l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. "Non siamo più nelle condizioni di fare il nostro lavoro", afferma lapidaria Laura Boldrini, portavoce dell'Acnur. "A Lampedusa non c'è più un sistema, laddove c'era invece un modello che l'Italia portava nelle assise internazionali". Il dato più importante del boom degli sbarchi degli ultimi anni è che sono cambiati i flussi migratori.
"Mentre prima arrivavano soprattutto migranti in cerca di lavoro, l'anno scorso il 75% degli arrivi sull'isola erano richiedenti asilo", dice la portavoce italiana dell'Unhcr. Secondo Boldrini, al contrario, il dibattito politico e pubblico che ha portato alla creazione del Cie, si è svolto sulla base di "slogan sempre uguali negli anni e senza un'analisi del fenomeno".
Infatti, sono 800 mila secondo le statistiche ufficiali gli irregolari sul territorio nazionale. Di questi, la maggioranza sono entrati con regolare visto e poi hanno perso i requisiti. "Allora perché questo accanimento verso chi arriva via mare se si tratta solo del 12% degli irregolari? E, di questi, i tre quarti sono richiedenti asilo?", è l'interrogativo mosso da Laura Boldrini. Per la portavoce dell'Acnur esiste una forte responsabilità dei media che hanno diffuso "una fotografia devastante del fenomeno migratorio, con anni e anni di cronaca nera collegata all'immigrazione e slogan-tolleranza zero contro chi rischia la vita sul gommone ma non contro chi li sfrutta". L'accordo Italia-Libia secondo Boldrini non risolverà il problema, visto che "persone in fuga da guerre e dittature, che non hanno scelta, non si fermeranno davanti a un accordo fra Stati".
Infine, un parallelo su due tragedie che hanno segnato le ultime settimane. "C'è stata una bellissima gara di solidarietà e un gran lavoro di umanità per il terremoto in Abruzzo. Pochi giorni prima, si è verificata una delle vicende più luttuose nel Mediterraneo. Anche lì, in uno o più naufragi sono morte oltre trecento persone. Quella morte è stata presente sui media per due giorni, ma non c'è stato nessun lutto collettivo, nessuna compassione per le vittime di un altro terremoto, quello della guerra".
Il richiamo a una maggiore umanità verso gli immigrati viene anche da Aldo Morrone, direttore dell'Istituto nazionale per la salute, i migranti e la povertà, che ha organizzato l'incontro. "Prima o poi il Cie di Lampedusa chiuderà", commenta il professore, "cosa succederà a quel punto? Oggi sotto i nostri occhi c'è la Tv che ogni mattina ci dice che gli immigrati sbarcano. Lampedusa è insieme una tragedia e un valore per ciò che rappresenta nell'immaginario collettivo, è una grande opportunità per il futuro".
Save the children: saltata la fase di soccorso e accoglienza
A Lampedusa, Save the Children chiede il ripristino della fase di soccorso e prima accoglienza per chi sbarca sull'isola dopo essere sopravvissuto alla traversata del Mediterraneo. La trasformazione del centro di accoglienza in struttura per l'identificazione e l'espulsione ha reso difficili queste operazioni e anche la fase di informativa legale ai migranti incontra molti ostacoli. È quanto sostiene la dott. Angela Oriti che per l'Ong cura il Progetto Praesidium III, un follow up sull'accoglienza coordinato dal ministero dell'Interno e finanziato dall'Ue, del quale fanno parte anche l'Oim e l'Acnur.
"Prima che il Centro soccorso e pronta accoglienza di Lampedusa fosse trasformato in Cie il 24 gennaio, c'erano ufficialmente 380 posti, estendibili fino a 800, arrivando ad ospitare quasi 2000 persone. Per l'area minori i letti per donne e minori erano 70 ma ha ospitato fino a 200 ragazzi", spiega Oriti ai partecipanti al seminario di medicina trans-culturale al San Gallicano.
Le vicende degli ultimi mesi hanno mostrato che ormai gli sbarchi non si fermano in autunno e in inverno, quando le condizioni meteo sono difficili. Il risultato è che "dagli 8.800 arrivi del 2003 si è passati ai 31.250 del 2008", continua la dottoressa, "e da quando Lampedusa è diventata Cie, il nostro lavoro si è fatto più difficile".
Nel suo intervento, Angela Oriti ricorda quanto avvenuto negli ultimi mesi: la decisione del ministro di bloccare i trasferimenti e svolgere le audizioni per i richiedenti asilo direttamente in loco; il Cspa trasformato in Centro per l'identificazione e per l'espulsione, nel quale sono stati trattenuti solo migranti di alcune nazionalità, tra cui algerini tunisini e marocchini, mentre gli altri sono stati trasferiti nella base Loran o sul territorio siciliano. Le notizie dei rimpatri e le condizioni del centro hanno aumentato la tensione portando alle rivolte di febbraio.
Particolarmente difficile è la situazione dei tantissimi minori non accompagnati, anche per le ripercussioni sulle strutture di accoglienza sul territorio siciliano. Si tratta di minori stranieri cui la legge garantisce la tutela e il permesso di soggiorno. Con la riforma del titolo V della Costituzione, il peso finanziario dell'accoglienza dei ragazzi soli pesa sui comuni, ma la normativa non fa riferimento agli arrivi per sbarchi.
"Su tutto il territorio siciliano, ci sono 39 comunità di alloggio che ospitano circa 1.800 minori, strutture sovraffollate, che non dovrebbero ospitare più di 10 ragazzi ma alcune strutture in tutto l'anno ne hanno accolti più di 50. Quasi a ricordare gli orfanotrofi di un tempo", spiega la rappresentante di Save the children.
"Per far fronte all'emergenza, la stessa prefettura di Agrigento ha fatto aprire strutture da 50-60 posti in violazione alla normativa e l'altra anomalia è che questa prefettura è il punto di riferimento per tutte le comunità regionali, anche quelle che si trovano in provincia di Palermo, Trapani e Catania", dice Oriti.
Ma i problemi non finiscono qui. "Nel momento in cui si avvia l'apertura della tutela, passaggio necessario per ottenere il permesso di soggiorno, l'onere finanziario del minore va in capo al comune. Per questo, a volte le comunità, finanziate dagli enti locali, ritardano l'apertura della tutela per non perdere i fondi, altre volte hanno accolto più minori di quanto possibile per attrarre finanziamenti". Sono diversi, dunque i livelli di responsabilità e coinvolgono comuni, case-famiglia, prefettura e Viminale.
Il risultato allarmante è la fuga di tantissimi ragazzi soli, soprattutto egiziani, di cui a volte si perdono le tracce sulle rotte verso Roma e Milano e che rischiano di finire in mano alla criminalità o sui mercati della schiavitù. Le altre nazionalità più numerose tra i minori stranieri non accompagnati presenti in Sicilia sono quelle eritrea, somala e nigeriana. "Servono più tutela, protezione, inserimento lavorativo e formazione in raccordo con la realtà del territorio", conclude Angela Oriti.