«Davanti a me c'era uno che sanguinava, e un poliziotto lo ha manganellato sulla testa. Un altro aveva la mano rotta e un terzo non riusciva a camminare [...] Alcuni li prendevano in due sotto braccio e li portavano in bagno, uno alla volta. Poi chiudevano porte e finestre e li picchiavano». Sono solo due fra le tante voci raccolte da "Redattore Sociale" e che gettano una nuova luce su quanto avvenuto il 18 febbraio nel Cie di Lampedusa, in Contrada Imbriacola, il giorno dell'incendio che distrusse una delle ali della struttura. A detta dei detenuti il rogo sarebbe stato appiccato in risposta alle cariche violente effettuate dagli agenti in tenuta anti sommossa presenti nel centro. Qualche insulto, quattro o cinque agenti che reagiscono con i manganelli e poi la rivolta che esplode: lacrimogeni e manganellate senza ritegno da parte di un centinaio dei militari presenti, il rogo come risposta disperata dei reclusi.
Già in quei giorni le condizioni del centro erano insopportabili, la struttura che doveva essere di primo soccorso era stata trasformata dal 26 gennaio in Centro di identificazione ed espulsione, questo aveva determinato un sovraffollamento perenne. La trasformazione in Cie aveva preoccupato soprattutto gli operatori di Save the Children, che avevano ravvisato i rischi a cui si andava incontro, soprattutto per le pratiche di identificazione dei minori condotte in modo approssimativo. L'organizzazione aveva altresì criticato la scelta di dirottare le imbarcazioni in arrivo verso Porto Empedocle, per i numerosi rischi a cui venivano esposti i migranti. La questura di Agrigento aveva iniziato a rilasciare dei provvedimenti di respingimento ai 1.134 detenuti presenti in quella data, in due settimane i giudici di pace venuti appositamente dal capoluogo e gli avvocati di ufficio avevano convalidato i provvedimenti, sancendo quindi il trattenimento per 60 giorni a partire dalla data di convalida. Una decisione arbitraria, molti fra i presenti erano arrivati già 20, 30 giorni prima della trasformazione del centro in Cie, e quei giorni di detenzione non sono stati conteggiati nei 60 a disposizione dall'autorità giudiziaria per emettere i provvedimenti di espulsione.
Quindi preesisteva una condizione di tensione latente contro cui nessuno ha detto o fatto nulla, a detta dei detenuti anche gli operatori delle organizzazioni umanitarie che operano nel centro erano al corrente dei maltrattamenti ma non hanno aperto bocca. A questo si aggiunga una pessima situazione socio sanitaria- bagni fuori uso e una identica pasticca per qualsiasi malessere - un uso massiccio di psicofarmaci per sedare i migranti - c'è chi sostiene che venivano inseriti nel cibo - uno stato di abbandono che non poteva durare. Dopo l'incendio e le successive rappresaglie delle forze dell'ordine, tanto che non è ancora chiaro se ad essere trasferiti in carcere siano stati gli esecutori materiali del rogo o se si sia pescato nel mucchio, è iniziato uno sciopero della fame e ci sono stati numerosi e gravi episodi di autolesionismo non denunciati. Il decreto legge 11/2009, emanato prontamente dal consiglio dei ministri aveva consentito di trattenere i migranti per sei mesi, agendo anche in maniera retroattiva rispetto alla data del fermo, ma è stato sonoramente bocciato l'8 aprile scorso. Nel frattempo, grazie agli accordi con il governo tunisino, una parte dei trattenuti sono stati rimpatriati. Ne restano a Lampedusa circa 700 ed è iniziato un vero e proprio conto alla rovescia. Se infatti non verrà emanato un nuovo decreto, entro il 26 aprile, data in cui il decreto decade ufficialmente, le porte del Cie dovrebbero aprirsi per tutti coloro la cui detenzione è giunta al sessantesimo giorno. Maroni sembra intenzionato a riproporre il decreto ma numerosi sono gli ostacoli politici che si frappongono. L'attenzione oggi è concentrata sull'emergenza terremoto ed alzare il livello di scontro nella maggioranza potrebbe nuocere alla stessa Lega. Non è poi detto che il Presidente della Repubblica si presti a firmare un decreto già bocciato in parlamento e aspramente criticato tanto dal Csm quanto da numerose organizzazioni umanitarie internazionali. Ma indipendentemente da quanto potrebbe accadere il 27 aprile, è opportuno che attorno ad un intero meccanismo carico di irregolarità - dalla trasformazione del centro di soccorso in Cie, ai fatti inerenti l'incendio, fino ai trattenimenti prolungati oltre il termine stabilito, venga fatta luce e che il ministero si assuma le proprie responsabilità. Di violazioni ne sono state commesse molte, che si ammettano prima di ricevere l'ennesima giustificata reprimenda dall'Unione Europea.