C'è da comprenderla l'irritazione di Maroni per la bocciatura del decreto legge che estendeva a 180 giorni il periodo di trattenimento dei migranti nei Cie. Si tratta del classico granello di sabbia che inceppa, almeno temporaneamente un meccanismo.
Se il decreto fosse stato convertito in legge dal parlamento, in breve termine i 10 centri, tuttora operanti, sarebbero divenuti sovraffollati più dei penitenziari. Il ministro contava su questa emergenza per poter procedere rapidamente all'apertura di almeno altri 10 nuovi Cie, dislocati soprattutto nelle regioni che ne sono sprovviste.
Un risultato politico di non poco conto per la Lega, che ha sempre fatto delle espulsioni e dei trattenimenti una propria bandiera, tanto che laddove questo partito ha un peso politico determinante, sindaci e assessori delle diverse località si contendono il privilegio di ospitare le nuove galere. Furore ideologico?
Non solo, accanto al risultato che parla alla pancia dell'elettorato c'è un business di almeno 140 milioni di euro, ci sono posti di lavoro, appalti per la realizzazione o la messa a norma degli spazi che si vuole utilizzare come Cie, c'è lo spostamento di militari e personale di polizia, carabinieri e finanza da utilizzare come vigilanza. Ad essere capziosi si potrebbe pensare che la necessità di utilizzare le forze dell'ordine per vigilare i Cie porterebbe anche acqua al mulino di chi invoca le ronde padane e non solo.
La sconfitta parlamentare non sarà facilmente digerita dai leghisti e dagli esponenti più xenofobi della maggioranza, già si accenna ad una proposta di mediazione che porterebbe il limite di detenzione, perché di questo si tratta, a quattro mesi. Maroni giustifica il provvedimento appellandosi alla direttiva europea che permette di arrivare fino a 18 mesi, dimenticando che in quasi tutti i paesi europei le forme di restrizione delle libertà personali sono decise da un tribunale e quindi con un reale diritto alla difesa e non certo da un giudice di pace che firma e timbra spesso senza neanche conoscere le normative.
Ad essere contrari alla proroga dei termini sono anche i sindacati di polizia, almeno per due ragioni: perché molti agenti non vogliono fungere da secondini in situazioni spesso di enorme pressione, e perché, per esperienza diretta, chi opera in strada sa che quando una persona cerca di non farsi identificare e di nascondere la propria reale nazionalità, i suoi reali dati anagrafici vengono scoperti nei primi 10, 15 giorni: dopo si va a caso. Si stanno moltiplicando, infatti, le segnalazioni di espulsioni con accompagnamento alla frontiera di persone che finiscono in paesi che non sono quelli di reale provenienza.
Intanto sui Cie è tornato il silenzio. Dopo la morte di Salah Soudani, a Ponte Galeria (Roma) si attende ancora l'esito dell'inchiesta sulle cause. Il corpo di Salah giace ancora all'obitorio. Un primo esame autoptico non è stato sufficiente, l'ambasciata algerina intende avvalersi di un legale di fiducia e i giornali del paese non esitano a definire sospetto l'accaduto. Nel Cie romano la tensione è forte, numerosi testimoni della morte di Salah sono stati con solerzia identificati e rimpatriati e nei giorni scorsi, per avvalorare l'ipotesi che l'uomo sia deceduto in seguito ad overdose, ci sono state numerose ispezioni con i cani e perquisizioni, a caccia di stupefacenti mai trovati. Preoccupante anche la situazione di Lampedusa.
L'isola è sempre più militarizzata, oltre mille agenti hanno riempito gli alberghi, trasformando tanto i migranti che i lampedusani in vigilati speciali. Per mitigare le proteste sono stati assunti lavoratori nel Cie di Contrada Imbriacola, già operante, mentre solo la mancanza delle necessarie autorizzazioni di compatibilità ambientale, ha temporaneamente bloccato il sub appalto per il nuovo centro che dovrebbe sorgere nella ex base Loran.
I tanti militari che si avvicendano riempiono i piccoli Atr 42, rubando il posto ai lampedusani che hanno bisogno di raggiungere la Sicilia in aereo. Nel contempo, paradossalmente, si continua a scappare dal centro e chi fugge cerca viveri e vestiario nelle case, creando ulteriore tensione. Mentre molti sono i trattenuti che, imbottiti di psicofarmaci durante i periodi passati nei centri di detenzione in Libia, sono in crisi di astinenza, non riescono a dormire, e si feriscono e minacciano di uccidersi se non vengono sedati. Nonostante tutto questo, nei giorni scorsi è apparso sulle mura del Cie uno striscione di solidarietà dei migranti con le vittime del terremoto. Il fronte dei lampedusani che si è opposto al Cie appare indebolito ma non disposto ad arrendersi.
Libera Espressione, il canale di You Tube dedicato ai problemi dell'isola, attivo da mesi senza scopo di lucro, ha ricevuto molte pressioni e alcune velate minacce, volte a far scomparire alcuni video ritenuti dannosi per l'immagine dell'isola o compromettenti per alcuni isolani. Giacomo Sferlazzo e Antonino Maggiore, animatori del canale, chiedono la solidarietà agli operatori dell'informazione, al mondo culturale e ai cittadini.
Anche nel resto d'Italia nei Cie l'atmosfera è tesa: a Milano, nel centro di Via Corelli, si susseguono rivolte che portano i trattenuti a salire sui tetti per protesta, a Torino, Corso Brunelleschi, dopo un tentativo di fuga di una ventina di migranti prontamente represso, ci sono stati arresti e percosse, tanto da far partire uno sciopero della fame. Da altri centri arrivano notizie frammentarie ma un dato accomuna tutti: l'aumento degli episodi di autolesionismo. Nel silenzio assoluto, perché entrare nei Cie è oggi più difficile che in passato. E mancano parlamentari che esercitino il diritto di entrare.