Non è possibile parlare di fatalità. Quello che sta accadendo in questi giorni davanti alle coste libiche è una strage. I responsabili hanno un nome e un cognome, hanno operato scelte politiche ciniche ed egoiste, hanno deciso di continuare a rendere ancora più colmo di cadaveri il mare Mediterraneo.
Da alcuni giorni, il tempo è migliorato, il mare è quasi una tavola e, come prevedibile, le imbarcazioni hanno ricominciato a partire dai porti libici e tunisini, alla faccia del tanto celebrato accordo italo libico che dovrebbe interrompere il flusso di "immigrati irregolari". La cronologia è ancora frammentaria o incompleta: sabato pomeriggio il rimorchiatore Asso 22, che stazionava nei pressi di una base petrolifera aveva raccolto l'Sos proveniente da un barcone che portava circa 350 persone. A bordo del rimorchiatore sono saliti 3 militari libici, l'imbarcazione è stata raggiunta a tarda notte e dopo una manovra complessa domenica pomeriggio i migranti, circa 350, sono rientrati in Libia, per loro paese di transito. Ma era solo l'avvisaglia di quanto stava per succedere, poche ore dopo due o tre barconi, il numero non è chiaro, a loro volta stracolmi, hanno lasciato le coste libiche. E almeno uno con a bordo 257 persone, partito da un porticciolo nei pressi dei sobborghi di Tripoli, Sid Bilal Janzur, è affondato a 30 chilometri dalla costa. Era già accaduto in passato e di solito a intervenire, anche in acque vicine alla Libia, era la marina militare italiana mentre i colleghi maltesi evitavano qualsiasi coinvolgimento. Stavolta, e solo dopo molte ore, è arrivato il soccorso libico, 23 persone sono state tratte in salvo, una ventina di cadaveri recuperati, resta imprecisato il numero dei dispersi. Resta il mistero rispetto alle altre navi che hanno chiesto soccorso.
Mentre l'Oim (Organizzazione internazionale per le immigrazioni) per voce del suo responsabile internazionale Laurence Hart, stima che siano circa 200 le persone rimaste in mare, secondo altre fonti, fra cui l'agenzia stampa egiziana Mena, almeno un'altra imbarcazione con a bordo 342 migranti risulterebbe dispersa mentre non vi è traccia di un terzo natante di cui si ignora la stazza e il numero di persone a bordo.
Anche queste altre due navi sarebbero partite da Sid Bilal Janzur, non da un tratto isolato della lunga costa della Libia, ma quasi dalla capitale: un fatto che rende bene l'idea di quanto abbiano "funzionato" gli accordi con Gheddafi per il contrasto all'immigrazione irregolare.
Se questi dati venissero confermati non solo saremmo di fronte alla più grave sciagura mai accaduta nel Mediterraneo - il numero delle vittime potrebbe oscillare fra le 300 e le 500 - ma si evidenzierebbe un peggioramento ulteriore delle modalità di intervento in mare. Cessata la fallimentare missione europea Frontex, milioni di euro sprecati senza garanzie di ingaggio per l'intervento di salvataggio, il Canale di Sicilia è rimasto un buco nero in cui pochi osano ormai avventurarsi a scopo umanitario.
Tante le imbarcazioni che riescono a raggiungere la Sicilia o Lampedusa, tante quelle che vengono respinte in maniera inumana da Malta, chissà quante quelle di cui neanche si ha notizia mentre affondano. Misteriose le dinamiche dei naufragi, difficile dare la colpa ai marosi, più ipotizzabili manovre azzardate per sfuggire ai pattugliamenti operate da imbarcazioni appesantite dal carico e probabilmente in pessime condizioni di manutenzione. Non resta che augurarsi un'inchiesta seria degli organismi internazionali.
Quel che è certo è che da Lampedusa, il punto italiano più vicino alla Libia, raramente ormai si avventurano le motovedette delle capitanerie di porto, fra i pescatori cresce il timore dei rischi in cui si incorre a prestare soccorso alle "carrette del mare", la legge non scritta che obbliga chiunque sia in condizione a prestare soccorso sembra dimenticata. Del resto le dichiarazioni rilasciate dal ministro dell'interno Maroni sono la più limpida delle esplicitazioni delle linee guida del governo. Il ministro, durante un vertice sulla criminalità organizzata ieri a Reggio Calabria, ha lanciato un "curioso" appello alla solidarietà e alla compartecipazione internazionale: dinanzi al dramma ha ricordato che le forze della marina italiana continueranno ad intervenire nelle acque di propria competenza, lasciando quindi ad altri l'impegno a fare altrettanto altrove, e ha garantito che dal 14 maggio, data in cui inizierà il pattugliamento congiunto sulle coste libiche, il problema sarà risolto e non ci saranno più tragedie di questo tipo. Cosa sarà questo pattugliamento? Con che mezzi e quali regole di ingaggio? Cosa accadrà alle imbarcazioni che proveranno a forzare l'accesso all'Europa? Il rischio è che queste manovre si rivelino o inutile propaganda o, peggio ancora, causa di altre catastrofi marine.
Le persone continueranno a partire, le ragioni sono sotto gli occhi di tutti. Se dal Corno d'Africa e da parte dell'Africa sub sahariana si continua a fuggire da guerre e assenza di prospettive, è inquietante l'aumento di giovani che lasciano paesi come Tunisia ed Egitto in questo inizio del 2009. Molti fra i dispersi sono ragazzi egiziani, per loro partire è un rischio enorme perché se vengono intercettati, gli accordi bilaterali permettono il rimpatrio immediato, eppure continuano a scappare. Sono gli effetti catastrofici della crisi economica che in Egitto si traducono in numeri impietosi. Secondo l'Istituto centrale per la statistica, l'inflazione è in crescita esponenziale: 27,1% per i prodotti alimentari, 37,3% per l'istruzione, 46,1% nel settore alberghiero e della ristorazione. Questo si traduce in disoccupazione e in un abbassamento radicale delle condizioni di vita. L'emigrazione è per i più giovani l'unica soluzione, costi quel che costi, anche la stessa vita. L'Europa si chiude a riccio per salvaguardare i propri interessi, i suoi stati membri firmano accordi con i paesi di transito che di fatto espongono a morte certa chiunque osi avventurarsi alla ricerca di un futuro. Il governo italiano ha ratificato a febbraio l'accordo con il regime libico, verserà 250 milioni di dollari ogni anno, per 20 anni, per realizzare infrastrutture nel paese di Gheddafi, in cambio di una cooperazione ancora più marcata nel lavoro sporco necessario a fermare con ogni mezzo l'immigrazione. Sono stati tanti i parlamentari che hanno chiesto la revisione degli accordi, dall'Udc, all'IdV, al Pd. In molti dopo, ma solo dopo, l'ennesima tragedia, hanno scoperto le nefandezze del "Trattato di amicizia" italo libico, chi per disvelarne l'inefficacia, chi per denunciarne, ma solo parzialmente, la pericolosità. Fuori dal coro la Cei - monsignor Crociata ha affermato «chi arriva sia accolto »- , il Centro Astalli, che ha richiamato alla non negoziabilità dei diritti, il Cir e l'Acnur. Il parlamento europeo, su proposta dell'europarlamentare Giusto Catania, osserverà oggi un minuto di silenzio all'inizio della plenaria per ricordare le vittime di questa inaccettabile tragedia. Il segretario del Prc Paolo Ferrero ha definito i fatti il frutto delle politiche inumane del governo, e ha richiamato alla necessità che si aprano dei canali di ingresso legali in Italia e in Europa, unico strumento per impedire di rivivere giorni cupi come questi.