Il mese di marzo appena concluso ha segnato un drammatico "record" nella storia delle carceri italiane: 10 detenuti si sono uccisi (5 di loro erano ventenni o poco più), quindi si è verificato in media un suicidio ogni 3 giorni.
Da quando abbiamo iniziato a raccogliere i dati del Dossier (nel 2002) non si era mai registrato un numero così elevato di suicidi in carcere, ed anche nel primo trimestre dell'anno (con 19 casi) è stato superato il precedente "picco", che risaliva al 2005 (18 casi).
Si comprende perfettamente come esista una stretta relazione tra il grado di affollamento delle carceri e il numero dei suicidi: nel primo trimestre del 2007 - a pochi mesi dal provvedimento di indulto che sfollò momentaneamente le carceri - ci furono soltanto 2 suicidi!
Va pure sottolineato che l'ormai cronica insufficienza numerica del personale deputato al "trattamento" (psicologi, educatori) e alla sorveglianza (agenti di polizia penitenziaria) determina di fatto un "abbandono" dei detenuti nelle celle.
La prospettiva di una detenzione in condizioni "inumane" (come denunciato dallo stesso Ministro della Giustizia) e priva di stimoli positivi fa perdere ogni speranza ai detenuti, soprattutto ai giovani che entrano in carcere per la prima volta. Ragazzi di vent'anni, arrestati anche per reati di poco conto, che non riescono a trovare un appiglio, ad avere fiducia in un possibile recupero, in una vita migliore senza reati e senza carcere.
Il dramma non riguarda soltanto i detenuti, ma tutta la nostra società, che sembra aver dimenticato i principi di una pena "civile": dura sì, ma volta al recupero delle persone condannate, non al loro annientamento.