E' da poco passato mezzogiorno quando una colonna di fumo nero invade il cielo di Lampedusa. Gli isolani corrono in strada, la nuvola imponente proviene dal centro di detenzione in contrada Imbriacola che ospita 863 migranti, in maggioranza tunisini.
L'incendio, spiegherà poi il Viminale, è stato appiccato da trecento migranti in rivolta dopo un duro tafferuglio con le forze di polizia che in tenuta antisommossa impedivano loro di forzare i cancelli e scappare.
Lenti i soccorsi, le autobotti dei vigili del fuoco non riescono a passare sullo stretto viottolo in terra battuta che porta al centro, un gruppo di cittadini cerca di arrivare alle porte del Cpa ma viene minacciato dagli agenti col manganello alzato: «I migranti sono vostri amici? Ma non vedete che stuprano le donne italiane?».
Soltanto nel pomeriggio le fiamme alte dieci metri vengono domate a fatica utilizzando l'acqua della struttura, una settantina i feriti contusi o storditi dalle esalazioni tossiche: 56 migranti e 22 agenti. Tra loro anche un vigile del fuoco con gravi difficoltà nella respirazione. Due i migranti costretti al ricovero per le esalazioni: il materiale bruciato sono oggetti di plastica che emanano diossina, quando cala la notte i migranti sono costretti a dormire col puzzo velenoso nelle narici.
Una delle tre palazzine è stata divorata dalle fiamme che hanno lambito anche le altre strutture vicine provocando la distruzione della metà degli ottocento alloggi disponibili; il governo promette di iniziare presto i lavori di ristrutturazione e nel frattempo in serata organizza lo spostamento di 160 tunisini destinati al rimpatrio, questa mattina ne verranno trasferiti altri 150, probabilmente al Cpt di Ponte Galeria (Roma) in attesa di prendere l'aereo per Tunisi. In questo modo il Viminale, mai come ora messo a dura prova dalla sostanziale ingovernabilità del centro di Lampedusa, cerca di alleggerire le presenze.
La rivolta scoppia in tarda mattinata durante il rancio, dopo giorni di tensione provocata dai rimpatri coatti verso la Tunisia. Centosette tunisini avevano lasciato il centro martedì, immediato lo sciopero della fame proclamato da un gruppo di migranti. Mercoledì mattina, secondo la polizia, i ribelli attaccano i compagni che hanno deciso di sospendere la protesta e dunque si sono messi in fila per la mensa, intervengono i celerini per sedare la rissa con manganelli e lacrimogeni, volano water, porte sradicate e pezzi di lamiera. I tunisini tentano una via di fuga forzando il cancello che divide a metà il centro, gli agenti sbarrano il passo e dunque gli stranieri cominciano ad ammassare materassi e materiale infiammabile all'interno delle stanze, poi appiccano il fuoco che avviluppa per intero una delle tre palazzine.
Il centro nel caos, gli stranieri che non partecipano alla rivolta vengono posti sulle collinette che sovrastano la struttura ma a decine scappano rincorsi dagli agenti. Nel pomeriggio il questore di Agrigento, Girolamo di Fazio, ordina l'identificazione e l'arresto di ventidue ritenuti responsabili della ribellione, verranno trasferiti al carcere del capoluogo. I cellulari dei migranti rinchiusi, solitamente accesi, per tutta la giornata risultano spenti.
Parallelamente divampa la polemica contro il governo e soprattutto contro Roberto Maroni che ha voluto trasformare un centro di prima accoglienza esemplare, a detta dell'Onu, in centro di identificazione ed espulsione nonostante il parere contrario dell'intera Lampedusa.
Il sindaco Bernardino De Rubeis addossa la colpa al ministro leghista e ne chiede le dimissioni: «Il centro è un lager, gli immigrati sono esasperati». L'incidente è l'ennesima prova, dichiara De Rubeis, che non ci sono le condizioni per detenere i migranti direttamente sull'isola, specialmente dopo la recente apertura della ex caserma Loran che per ora funge da propaggine dell'ex centro di accoglienza. «Mancano specialmente le condizioni di sicurezza, i migranti sono costretti ad ammassarsi a migliaia in una struttura da 750 posti, molti tentano il suicidio» denuncia il sindaco riferendosi poi ai fascicoli aperti nei giorni scorsi dalla procura di Agrigento proprio per verificare il sistema di sicurezza dei centri lampedusani e la prolungata (illegale) permanenza degli stranieri, molti trattenuti oltre i due mesi stabiliti dalla legge.
Lampedusa vive il periodo più inquieto della sua storia recente: a fine gennaio, durante una manifestazione degli isolani contro l'apertura della ex caserma Loran, un migliaio di stranieri erano stati fatti uscire dalla struttura di contrada Imbriacola, si erano mescolati con i cittadini chiedendo "libertà". Pochi giorni più tardi era scoppiato un piccolo incendio proprio nella Loran, due migranti intimoriti si erano feriti lanciandosi dalla finestra del primo piano. Poi alcuni tunisini avevano tentato il suicidio nell'ex Cpa, infine il devastante incendio.
Da un mese l'isola è militarizzata: seimila i residenti, un migliaio i migranti e mille agenti a vigilare il territorio con ronde notturne per acciuffare chi scavalca le inferriate e si perde nel terreno brullo. La settimana scorsa sei europarlamentari avevano verificato le disastrose condizioni sanitarie degli edifici, e la pessima gestione delle identificazioni e dei rimpatri.
L'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati chiede ora che i migranti rinchiusi vengano evacuati per evitare l'inalazione di gas tossici. L'Arci punta il dito sul governo, responsabile di voler trasformare Lampedusa nella nuova Guantanamo: «Siamo all'emergenza umanitaria» dice Filippo Miraglia.
L'opposizione in Parlamento - radicali, Pd e Udc - chiedono a Maroni di riferire urgentemente in aula su quanto è accaduto, probabile la sua presenza in Senato nei prossimi giorni. Rifondazione chiede direttamente le dimissioni del ministro, per Agnoletto «il Cie è una bomba a orologeria» mentre Russo Spena spiega che «in nome di una propaganda securitaria e razzista da rivendicare al suo operato, (Maroni, ndr) mette in pericolo persone e vite umane».
Le preoccupazioni riguardano specialmente il futuro: con l'arrivo della primavera ricominceranno gli sbarchi massicci e gli isolani temono che il centro collasserà definitivamente. Specialmente potrebbe non essere garantita l'accoglienza dei rifugiati, la maggioranza delle persone che sbarcano sull'isola (75% nel 2008): i richiedenti asilo non possono essere rimpatriati se non dopo l'esame della domanda di asilo che richiede tempo e soprattutto personale qualificato.
Da tempo Rubeis, e con lui gli isolani, attendono le risposte del governo. Maroni ha sospeso per il momento la costruzione del nuovo Cie. «Il governo rimane sordo alle nostre richieste, non vuole incontrarci» si lamenta il sindaco. I lampedusani, ragiona il sindaco, hanno capito ormai che i migranti «sono pronti a tutto pur di scappare» e questo li intimorisce.
Sabato sera scorso, poi, è avvenuto un fattaccio: un pescatore, Giuseppe Raffi, stava tornando verso casa quando una coppia di agenti lo ha manganellato alle spalle scambiandolo per un migrante fuggitivo - prima dell'incendio di ieri si parlava di almeno una trentina di stranieri usciti furtivamente dal centro e tenuti nascosti con la speranza di arrivare alle coste siciliane. Raffi ha riportato una grave lussazione alla spalla, non può lavorare e per questo i suoi amici lo stanno sostenendo con una colletta. Il pescatore ha presentato una denuncia, per il momento la polizia sostiene che Raffi è caduto da solo procurandosi la frattura.