I parenti di Aldo Bianzino vogliono dimostrare che il falegname fu ucciso in carcere. Tra le circostanze anomale sottolineate dai difensori dei familiari, la posizione del corpo sulla branda, l'essere nudo in periodo autunnale, l'immediato trasferimento del corpo fuori dalla cella e la sua deposizione avanti la porta chiusa dell'infermeria.
L'immediata iscrizione nel registro degli indagati del personale in servizio nella sezione del carcere di Capanne la notte in cui morì Aldo Bianzino, una perizia medico-legale che sgombri il campo da equivoci e stabilisca le cause della morte del falegname di 44 anni in cella per aver coltivato alcune piantine di canapa indiana; accertamenti sui tabulati telefonici degli agenti di turno e un'analisi dei filmati delle telecamere a circuito chiuso.
Tutto questo per dimostrare che - come ritiene la famiglia - Bianzino fu ucciso: l'avvocato Massimo Zaganelli che assiste la compagna e il figlio elenca le sue richieste istruttorie davanti al gip Massimo Ricciarelli che dovrà decidere sull'opposizione alla richiesta di archiviazione. E la storia del detenuto morto in cella ricomincia a fare rumore. Il pm Giuseppe Petrazzini ha ritenuto insussistente l'ipotesi di omicidio volontario chiedendo al giudice l'archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti.
Ad avviso della procura, forte della consulenza medico-legale, il decesso del detenuto fu dovuto a cause naturali, ovvero la rottura di un aneurisma cerebrale. "Le indagini eseguite - scrive il pm - non hanno consentito di evidenziare, anche nella forma del minimo sospetto, l'esistenza di aggressioni del Bianzino, né occasioni in cui le stesse potessero essersi verificate". Richiesta alla quale i familiari hanno presentato opposizione: istanza discussa ieri mattina in aula.
L'avvocato Zaganelli, insieme ai colleghi Donatella Donati e Cristina Di Natale, ha illustrato le conclusioni del consulente medico-legale, Giuseppe Fortuni secondo il quale la morte fu dovuta ad un "violento trauma addominale da schiacciamento con conseguente lacerazione epatica, crisi ipertensiva arteriosa correlata alla sintomatologia dolorosa e alla paura con conseguente reazione adrenergica e successiva rottura di una sacca aneurismatica di una vaso arterioso cerebrale".
In sostanza mentre secondo gli esperti del pm non c'è alcun nesso tra la lesione al fegato - dovuta alle manovre rianimatorie - e l'aneurisma, per Fortuni il nesso c'è ed è provato dal fatto che la lesione epatica avvenne in vita mentre quando i medici praticarono i massaggio Bianzino era già morto. In aula il legale ha parlato di "istruttoria lacunosa che non ha consentito di far luce su una vicenda oscura". Tra le circostanze anomale sottolineate dai difensori dei familiari (si sono fatti avanti l'ex moglie, il padre e il fratello) la posizione anomala del corpo sulla branda, l'essere nudo in periodo autunnale, l'immediato trasferimento del corpo fuori dalla cella e la sua deposizione avanti la porta chiusa dell'infermeria.
Circostanze ritenute strane anche dal medico e dall'infermiere. "Di fatto - scrive l'avvocato Zaganelli nella richiesta di opposizione - pur in presenza di un'ipotesi di omicidio, incomprensibilmente la cella e gli oggetti ivi contenuti non vennero sottoposti a sequestro, né disposte indagini tecnico scientifiche... pure la nudità del corpo - sottolinea - poteva suggerire l'ipotesi di un oltraggio fisico o morale anteriore al decesso che si presume sia stato portato a immediata conoscenza del direttore, dell'ispettore capo e dei medici del carcere". Ora la soluzione del caso Bianzino, che tante polemiche ha sollevato, passa al gip che entro dieci giorni dovrà dire se riaprire l'inchiesta oppure chiudere per sempre il giallo del morto in cella.