Sono oggi tre gli indagati nell'inchiesta per la morte di Marcello Lonzi, avvenuta nel luglio del 2003 nel carcere di Livorno, dove stava scontando una breve pena. A Gabriele Ghelardini, il detenuto che viveva nella cella di Lonzi al momento del decesso, si sono aggiunti due agenti della polizia penitenziaria.
Le indagini vanno avanti, e lo scorso venerdì il pubblico ministero Antonio Giaconi ha ascoltato due giovani vicini a Maria Ciuffi, la madre di Marcello che da cinque anni si batte perché si faccia luce sull'accaduto. I due, nel tentativo di raccogliere informazioni, avevano tempo fa avuto un colloquio proprio con Ghelardini, ai cui esiti il pm è ora interessato.
Il caso di Marcello Lonzi parte da uno degli eventi drammatici che hanno accompagnato la vita nelle nostre carceri in questi anni. Marcello muore all'età di 29 anni e l'autopsia parla subito di cause naturali. Poco prima del presunto arresto cardiaco era stato visto in ottima salute. Maria Ciuffi ritiene che il figlio sia morto in seguito a percosse, e sporge denuncia. Il pm Roberto Pennisi apre un fascicolo per omicidio contro ignoti. Il primo luglio dell'anno successivo Pennisi chiede l'archiviazione confermando l'esito dell'autopsia. Maria Ciuffi si oppone alla richiesta. Chiede un supplemento di indagine a partire da fotografie del cadavere di Marcello che mostrano spaventose ecchimosi, gonfiori e striature sulla pelle. Il volto di Marcello è tumefatto e il corpo coperto di sangue. Nel settembre 2004 il gip del Tribunale di Livorno respinge la richiesta di archiviazione e fissa per il dicembre successivo l'udienza preliminare. Ma in questa sede il giudice delle udienze preliminari accoglie la richiesta di archiviazione.
Maria Ciuffi non si dà per vinta e nel gennaio 2006 denuncia il pm Pennisi (magistrato di turno durante la notte della morte di Marcello), il medico legale che eseguì l'autopsia e un agente di polizia penitenziaria. All'udienza davanti al gip di Genova viene presentata una controperizia medico legale, ma pochi giorni dopo il gip archivia la denuncia della Ciuffi. Nell'occasione, però, afferma che la controperizia contiene elementi che potrebbero "avere una qualche rilevanza ai fini della riapertura delle indagini, a norma dell'articolo 414 del codice penale".
Maria Ciuffi continua nella sua battaglia e riesce a fare riaprire il caso nell'agosto 2006. Chiede nuovi accertamenti sul corpo del figlio. Alla fine di ottobre la salma del ragazzo viene riesumata e, su richiesta della madre, sottoposta a una nuova perizia che getta una luce ambigua sulla precedente autopsia, evidenziando fratture e lesioni non compatibili con una semplice caduta a terra a seguito di infarto. Le indagini proseguono e ora si attendono gli ulteriori sviluppi processuali.