Potrebbe essere Garage Olimpo o il Cile di Pinochet ma anche Guantanamo o Bolzaneto. Invece, più prosaicamente, si tratta di Bussolengo, un paesotto sulla strada che da Verona conduce al lago di Garda. È lì, nella piazza delle giostre, che il 5 settembre scorso tre famiglie italiane con un sacco di ragazzini e roulotte al seguito si incontrano per pranzare in compagnia. Particolare essenziale: sono rom. Fanno parte di una famiglia allargata, genitori, figli minori e figli grandi già con famiglia, fratelli con mogli e bambini, amici.
Prima arrivano i vigili municipali che li invitano ad andarsene. Non è forse Bussolengo la patria di quei consiglieri comunali che considerano un obiettivo delle istituzioni locali (dall'allegato alla deliberazione n. 24 del 29 aprile 2008) "l'eliminazione della sosta degli zingari sul nostro territorio"? Ma i vigili se ne vanno rassicurati, le famiglie si fermano solo il tempo di mangiare insieme.
Poi arrivano i carabinieri e lo scenario cambia. Le testimonianze dei rom, trasformatesi in regolare denuncia e attualmente oggetto di due inchieste, una della Procura di Verona, l'altra interna ai carabinieri, sono agghiaccianti.
Un crescendo di inaudita violenza li-sica e verbale, botte, insulti e minacce prima nella piazza, dove i carabinieri avrebbero distrutto anche l'interno delle roulotte, poi, in caserma, vere e proprie torture, ancora botte e due ragazzi minorenni della famiglia Campos sottoposti alla tristemente famosa "tortura dell'acqua" (i testi delle denunce, impressionanti quelle dei tre fratelli Campos, e le foto dei corpi seviziati sul sito del settimanale Carta).
Il tutto termina con l'arresto di tre componenti del gruppo, Angelo Campos e la moglie Sonia, e Denis Rossetto. Sono accusati di resistenza, la donna anche di tentato furto dell'arma di un militare. Secondo il rapporto dei carabinieri (il testo sempre sul sito citato), i rom li avrebbero prima derisi rifiutandosi di consegnare i documenti, poi aggrediti, e ci sarebbe stata anche una fuga con tanto di inseguimento fino ad un paese vicino.
Ma il calvario dei rom è appena cominciato, alleviato soltanto dalle molte manifestazioni di solidarietà, che hanno a loro volta suscitato l'interesse dei media e di alcuni esponenti politici. Ieri si è tenuta la seconda udienza del processo ai tre arrestati - alla prima udienza, celebrata a porte chiuse il 16 settembre scorso, le associazioni che lavorano con i rom e parecchie decine di attivisti erano tenuti a bada dalle forze dell'ordine - conclusasi con l'ordine di scarcerazione per la signora Sonia, mentre i due uomini restano in carcere. Il processo è stato rinviato al 30 settembre.
Fuori dal tribunale c'è una piccola folla, i parenti degli imputati, le associazioni che tutelano le popolazioni rom e sinte - Neve Gipe, Sucard Rom, il gruppo ecclesiale veronese fra i sinti e i rom - gli attivisti antirazzisti cittadini, il consigliere comunale di Mantova Iuri Del Bar, sinto, eletto per il Prc, il consigliere del Pdci Graziano Perini, Piero Pettenò, consigliere regionale di Rifondazione e Renato Cardazzo, dirigente nazionale Prc.
Sono tutti visibilmente sconvolti, in parte sconcertati per il prolungarsi del processo e della detenzione dei due rom. Gli avvocati difensori hanno scelto la linea del patteggiamento e si discute della scelta: "Il rischio che si sta correndo - sostiene Carlo Berini di Sucard Rom - è lo stesso che abbiamo già visto a Lecco (il caso del presunto rapimento di una bambina da parte di una donna rom, ndr). Le persone patteggiano per uscire dal carcere. La Procura generale di Lecco ha invalidato il primo processo perché ha capito che il patteggiamento era forzato, l'ammissione di colpa non giustificata da fatti chiari e certi. Confidiamo che la Procura di Verona, che sta affrontando in maniera decisa l'accusa formulata dai carabinieri, affronti con altrettanta forza le accuse presentate dai rom".
Piero Pettenó pone l'accento sul clima generale: "È una vicenda inaudita - dice - ma simbolica rispetto a ciò che si vive nel Paese, Veneto e Verona in prima fila. Chi è vittima diventa responsabile, io sono stato in carcere a trovare i rom e raccontano tutti gli stessi gravissimi fatti, su cui chiediamo sia fatta piena luce. Bisogna rompere il muro di omertà". "E dire chiaramente - interviene Cardazzo - come del resto ha già scritto il Times, che ci sono infiltrazioni di stampo neonazista nelle forze dell'ordine del nostro Paese". Nel comunicato di Prc, Comunisti italiani, Circolo Pink e La Chimica, diffuso ieri in serata, la domanda è: se i rom incarcerati non avessero denunciato i carabinieri di Bussolengo sarebbero adesso in libertà?