È morto nella sezione dell'infermeria del carcere di Montorio lo scorso 22 luglio ma la notizia è emersa solo in questi giorni grazie alla segnalazione di alcuni detenuti. La procura ha aperto un'inchiesta che, però, è destinata a finire in archivio. Secondo indiscrezioni, non sarebbero emersi elementi sufficienti a modificare la dicitura di morte naturale sul fascicolo, intestato a Mustafà, 41 anni, francese di origine magrebina.
"Potremmo iniziare l'inchiesta solo se arrivasse un esposto o una denuncia che segnalasse qualcosa di anomalo nella sua morte", si lascia scappare un inquirente. E fino a ieri, nessuno si era fatto vivo per denunciare irregolarità nel decesso del migrante nell'indagine coordinata dal sostituto procuratore Giulia Labia.
È impossibile, invece, conoscere la versione "istituzionale". Al telefono della casa circondariale, risponde una segretaria e riferisce che il direttore Salvatore Erminio è in ferie fino a domani ed è sostituito da un collega che, però, è fuori sede. Attualmente il carcere è comandato da un ispettore capo. Nessuno tranne il direttore del carcere, però, è autorizzato a parlare con la stampa su vicende interne al carcere.
Non resta che rifarsi alla segnalazione dei compagni di cella sulla morte del magrebino di 41 anni. Secondo il loro racconto, Mustafà era stato arrestato per il furto di una bicicletta e aveva subito una condanna ad un anno di carcere. "Era gravemente malato. Le sue gambe e i suoi piedi erano rossi e gonfi per cattiva circolazione" scrivono i detenuti in una lettera firmata. E poi la critica: "Non è stato curato abbastanza, dovevano portarlo all'ospedale", insistono i detenuti, "dove avrebbero potuto garantirgli le cure necessarie".
Una morte e i ricordi che spuntano: "Io lo conoscevo perché prima di stare male, veniva spesso all'aria: un posto all'aperto di 15 metri per 15, tutto in cemento grigio, con muri altissimi dove si può andare una volta alla mattina e una al pomeriggio". Mustafà si era conquistato in poco tempo la simpatia dei suoi compagni di cella: "Era un tipo tranquillo, allegro ed era divertente parlare con lui".
Non faceva certo pesare a chi gli stava vicino il suo stato di salute certo non brillante: "Il suo errore", riporta ancora la lettera dei detenuti, "se così si può chiamare, era che non diceva niente quando qualcosa gli mancava o quando stava male". Faceva fatica a farsi capire Mustafà. Non parlava l'italiano e forse non si faceva capire bene con i medici e infermieri che l'avevano in cura, così almeno ritengono i compagni di cella.
Gi ultimi giorni di vita di Mustafà sono stati contrassegnati da alcune crisi di vomito fino alla sera del 22 luglio scorso quando un assistente l'ha trovato privo di vita nella sua cella. È stato chiamato un medico che non ha potuto far altro che constatarne il decesso. "Hanno scattato una foto poi l'hanno portato via" racconta ancora il detenuto. Alla fine della lettera, c'è il saluto dei suoi compagni di cella: "Dio lo benedica e porti la sua anima in paradiso. Adieu Mustafà".