C'è stato un tempo nemmeno troppo lontano in cui San Vittore era il carcere di Milano e anche un carcere "milanese". Lo cantavano i poeti; aveva un posto nell'immaginario delle persone, i cittadini lo riconoscevano. Si chiamava "Mue", perché è quello il numero civico del portone d'ingresso, in piazza Filangieri. Quando quel portone si chiudeva rimanevi dentro un po'. E da lì sono passati criminali dai nomi evocativi: Francis Turatello, Renato Vallanzasca. Altre epoche. Le cose cambiano velocemente, e a volte dietro le sbarre i mutamenti sono più rapidi rispetto a "fuori". Oggi nella grande casa circondariale oltre 7 detenuti su 10 sono stranieri. E capita sempre più spesso che quelli che entrano, in piazza Filangieri ci rimangano soltanto pochi giorni. "È vero - dice Luigi Pagano - ormai San Vittore è diventato una specie di grande Cpt".
Pagano ha 54 anni, è stato direttore di San Vittore per quindici anni, e dall'estate del 2004 è Provveditore regionale per le carceri lombarde. "Quando arrivai io - ricorda - nell'istituto c'erano 2.400 detenuti". Da allora, Pagano ha sempre sostenuto che la più grande difficoltà con la quale si scontra chi fa il suo mestiere è l'affollamento delle strutture.
Non ha cambiato idea. "Oggi a San Vittore - dice-il 75% dei reclusi non è italiano. E nelle carceri lombarde siamo al 50-60 per cento. Ma il problema non è mai "chi" affolla, è il numero eccessivo delle presenze". Semmai, spiega, è la natura dell'affollamento a essere cambiata. "In questo momento i reclusi sono circa 1.500, anche se la capienza è 700. Fra due o tre mesi - prevede Pagano - il carcere sarà ancora troppo affollato e sempre più o meno da 1.500 persone, ma i detenuti saranno cambiati quasi tutti.
Diciamo che è un affollamento "dinamico". Su 100 nuovi ingressi, oltre il 50% degli arrestati torna in libertà nel giro di qualche giorno. Intanto altri arrivano a prendere il loro posto e si va avanti così. È un ciclo continuo". Conseguenze? "Prima prendevi in custodia delle persone e potevi determinare che sarebbero state in carcere 6 mesi. Potevi impostare un trattamento, pianificare il lavoro. Oggi le risorse sono impiegate per persone che dopo poco non ci sono più".
Insomma, a volte tutto quello che si riesce a fare è la cosiddetta "accoglienza", cioè la trafila che aspetta ogni nuovo detenuto in un carcere italiano: "Visita medica, visita psicologica, accompagnamento da parte di personale e volontari, verifica del livello di ansietà, perché va tenuto sotto controllo il pericolo che i nuovi si facciano del male o siano violenti nei confronti di altri reclusi". Un tempo tutto questo era "la base" sulla quale cominciare a lavorare. "Ora capita che sia l'unico obiettivo perseguibile. Oltre a evitare che ci siano evasi o feriti, s'intende...".
In questo modo però, dice il Provveditore alle carceri lombarde, "il rischio è che l'istituto perda le sue caratteristiche, quelle scritte all'articolo 27 della Costituzione, che parla di rieducazione del condannato". Certo, il problema riguarda soprattutto le Case Circondariali delle grandi città, nelle case di reclusione più piccole è diverso: "Ma quando le tue risorse le investi per le "permanenze giornaliere" - sospira Pagano - il trattamento rieducativo c'entra poco. Rischi di non raggiungere nemmeno l'obiettivo della dignità dei reclusi, per non parlare del loro reinserimento".
Resta quel dato numerico impressionante. Tanti stranieri in carcere non c'erano mai stati. Che succede?
"Per un verso - dice Pagano -, è vero che vengono arrestati di più. Ma è anche vero che, a parità di imputazioni, per loro e per gli italiani la realtà carceraria può essere parecchio diversa. Per fare un solo esempio: è facile che un extracomunitario in custodia cautelare non sia in possesso di documenti utili a dimostrare che ha un alloggio. Quindi non otterrà misure alternative alla detenzione, perché il magistrato non sa dove mandarlo".
Almeno una buona notizia però c'è : "Le tensioni sono poche, meno di quanto ci si immagini da fuori. E da molto prima dell'indulto, direi almeno da un decennio, che in carcere conviviamo con l'aumento degli immigrati. Siamo già alle seconde o terze generazioni. I primi reclusi stranieri avevano problemi di lingua e relazioni, occorreva una mediazione. Oggi trovi gente non dico italianizzata ma con un corredo culturale molto diverso".
Detenuti come i 50 che a Ferragosto sono usciti da San Vittore per pulire un parco. "Questo è scontare la pena - dice Pagano -. Un lavoro all'esterno, con agenti a controllare, in modo che i reclusi non pesino troppo sul carcere. Ma è un fatto su cui dovremmo riflettere tutti assieme".