La morte di Ali Juburi, lunedì all'ospedale dell'Aquila, ci ha messo di fronte un'evidenza tragica: si può morire di fame, isolati dal mondo per uno sciopero di cui nessuno sa niente. Estrema dimostrazione del fatto che dal carcere non esci se non hai nessuno alle spalle. Per sapere qualcosa in più sulla vicenda, abbiamo contattato il carcere Torre Sinello di Vasto dove Ali è arrivato "sfollato" da Milano.
Un commissario che vuole rimanere anonimo, racconta: "Ali è stato trasferito dalla riviera adriatica a L'Aquila perché a Vasto il servizio di guardia medica è di dodici ore mentre nel penitenziario del capoluogo abruzzese è permanente. Sono stati fatti tutti i passaggi necessari per comunicare il suo sciopero, compresa la segnalazione di un "inizio di evento critico". Ho parlato con lui personalmente, balbettava la nostra lingua ma ponendo molta attenzione si riusciva a comprendere quello che diceva. Quando è uscito da qui, pur in sciopero della fame, era in condizione discrete ed è andato via con i suoi piedi".
Anche se Ali è stato assistito, come da procedura, nessuno ha ascoltato la ragione del suo sciopero: avere giustizia. Si dichiarava innocente e questo evidentemente per lui era più importante dell'aria che respirava. Eppure sarebbe bastato un semplice avvocato per aiutarlo veramente. Rosetta Crugnale presidente del Centro informazione e prima accoglienza (Cipa), associazione Onlus di Vasto, spiega: "La nostra associazione funge anche da comunità ospitante per i detenuti che possono farne richiesta. Questi possono chiedere all'educatore di scontare la pena dentro la comunità. Nessuno mi ha messo a conoscenza del caso di Ali. Di certo un detenuto con una pena di un anno e tre mesi avrebbe potuto essere ospitato da noi".
Marco Gelmini segretario del Prc abruzzese fa notare che "i tanti parlamentari che hanno visitato in carcere l'ex governatore d'Abruzzo Ottaviano Del Turco avrebbero potuto raccogliere anche le parole del detenuto iracheno". Sono i senatori Franco Marini, Giovanni Legnini e Marcello Pera, i deputati Pierluigi Mantini, Giancarlo Lehner e Renato Farina. "Nessuno di loro - scrive Gelmini - si è accorto, in queste vistose trasferte, di un detenuto extracomunitario che stava morendo per uno sciopero della fame. Se uno solo avesse prestato anche attenzione alle condizioni generali delle carceri forse sarebbe passato all'Aquila e avrebbe raccolto le parole di Alì Juburi".
Riccardo Arena, da anni conduttore di "Radio Carcere", di situazioni difficili dietro le sbarre ne ha conosciute tante: " Il caso di Ali è emblematico del mal funzionamento del tribunale di sorveglianza. Non si capisce infatti perché sia rimasto in carcere. Per la condanna che aveva, avrebbe dovuto avere la pena sospesa. Anche nel caso in cui avesse avuto precedenti, scontata la metà della pena avrebbe potuto usufruire di una misura alternativa. Perché non si è ricorso in appello? Perché era immigrato? Perché non aveva un buon avvocato? Può essere. A volte quando stai dentro puoi diventare solo un pacco postale. Le carceri abruzzesi - continua Arena- sono molte isolate. Il caso di Ali, nella sua tragicità dovrebbe aiutare a farci riflettere su quante sono le proteste nei penitenziari di cui non sappiamo assolutamente niente".
Franco Corbelli, leader del Movimento Diritti Civili, denunciando l'accaduto, si offre per pagare le spese del viaggio in Italia della madre del giovane immigrato (dall'Iraq) e chiede l'intervento del Presidente della Repubblica e Presidente del Csm, Giorgio Napolitano. Sarà in vacanza?
La sua morte non è passata del tutto inosservata
Non è passata del tutto inosservata la morte per fame del detenuto Alì Juburi. Sul suicidio annunciato del detenuto iracheno del carcere de L'Aquila, i deputati Radicali, Rita Bernardini e Maurizio Turco, hanno presentato un'interrogazione urgente ai ministri della Giustizia, dell'Interno e degli Esteri sulla morte del cittadino iracheno chiedendo innanzitutto di "chiarire, dal punto di vista processuale, quale sia stata effettivamente il reato imputatogli e l'entità della pena perché c'è una notevole discordanza fra le notizie diffuse dai mezzi di informazione: per alcuni, infatti, Alì Juburi sarebbe stato condannato a un anno e tre mesi per tentata rapina mentre, per altri, la condanna sarebbe stata a tre anni di reclusione per il furto di un telefonino cellulare". Bernardini e Turco, insomma, vogliono vederci chiaro: "Le carte di Alì Juburi erano in regola solo per morire: contadino, povero, extracomunitario, iracheno, carcerato, solo". I radicali chiedono inoltre di sapere se nei tre lunghi mesi di sciopero della fame il cittadino iracheno sia stato adeguatamente seguito dai sanitari dal punto di vista fisico e psicologico e se, con l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, sia stato prestato il soccorso necessario che avrebbe potuto evitarne il decesso.
La deputata radicale, eletta nelle liste Pd, solleva dubbi anche sulla condanna: "Nel merito ci sono molte perplessità. Se si sommano le mie per disobbedienza civile queste arrivano ha un anno e tre mesi. Nessuno però si è mai sognato di rinchiudermi in carcere". Bernardini poi fa un paragone anche con un altro caso di cronaca - e un'altra battaglia radicale - di questo 2008: "Come è possibile che mentre Eluana Englaro viene tenuta in vita sottoponendola ad alimentazione assistita, una persona in grado di ragionare venga fatta morire di fame?". Tutte queste domande, secondo i Radicali, oltre ad ottenere verità sono rivolte anche alla nuova società italiana: "Se una persona si è debilitata a tal punto da morire bisognerebbe interrogarsi su quello che sono diventate le istituzioni in Italia? Il caso di Ali ci ha molto colpito, probabilmente più che delle flebo aveva bisogno di ascolto. Questa storia ci deve far riflettere su cosa siamo diventati" conclude Bernardini.
In attesa delle risposte alla interrogazione parlamentare, i Radicali stanno raccogliendo le adesioni per una iniziativa nelle carceri a Ferragosto, proprio mentre il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, si preoccupa solo di proporre di mandare a pulire le strade i detenuti che sovraffollano le carceri. Una risposta concreta - verrebbe da dire - all'allarme lanciato dal Sappe, sindacato autonomo di polizia penitenziaria: "Rinnoviamo l'invito al governo e al Parlamento ad adottare nuove politiche penitenziarie per il Paese, visto il fallimento di quelle attuali come emerge impietosamente dai numeri, e a prevedere nella prossima Finanziaria lo stanziamento di fondi per il
"'sistema carcere"". Numeri alla mano, l'emergenza è di quelle non più rimandabili: sono oltre 55mila i detenuti presenti nei 205 penitenziari italiani, a fronte di una capienza regolamentare di circa 43mila posti.
Corbelli si offre per pagare viaggio a madre
"Di fronte alla latitanza del Governo e delle altre alte cariche istituzionali e al silenzio dei Tg nazionali e dei grandi giornali (tranne pochissime eccezioni) - prosegue Corbelli - chiedo l'intervento del Presidente della Repubblica e Presidente del Csm. Anche se in vacanza - prosegue Corbelli - il Capo dello Stato intervenga pubblicamente per evitare che la morte di questo giovane detenuto, questa grande ingiustizia, questa vergogna nazionale venga subito dimenticata, cancellata e rimossa.
A Napolitano, nella sua qualità anche di Presidente del Csm, chiedo di attivare tutte le procedure, secondo quelle che sono le sue prerogative costituzionali, per evitare che cali il silenzio e venga invece fatta piena luce e giustizia su questo gravissimo fatto, non degno di un Paese democratico. La verità, al di là della vicenda processuale, è che questo giovane iracheno è morto per colpa di un clima ostile e di una sorta di criminalizzazione degli immigrati che il Governo Berlusconi ha scatenato nel Paese.
Ha ragione e condivido per questo - dice ancora Corbelli - la posizione e le forti critiche all'Esecutivo del settimanale cattolico Famiglia Cristiana. Il Movimento Diritti Civili è pronto a farsi carico delle spese di viaggio per permettere alla madre del giovane, che vive in Iraq, di venire in Italia per riprendersi il corpo di suo figlio che un Paese non civile, non democratico, non giusto e non umano, non ha saputo - conclude - rispettare, aiutare e salvare".