Morto. In cella. A 32 anni. Valentino Atzori aveva appena saputo che il giudice aveva respinto la richiesta di arresti domiciliari presentata dal suo difensore, l'avvocato Gabriella Vogliotti pochi giorni dopo la sentenza di condanna per rapina impropria: 26 mesi. Senza condizionale. Anche se Valentino era incensurato. Sulla morte del giovane è stata avviata un'inchiesta. L'arresto cardiocircolatorio accertato dal medico del carcere potrebbe essere stato indotto da qualche sostanza. Droga. Il sospetto è legato a una siringa, trovata dagli agenti di polizia penitenziaria non troppo lontano dal corpo di Valentino. Non ci sono ancora elementi che colleghino quella siringa al giovane e alla sua morte. Ma nemmeno il contrario. Una prima indicazione arriverà con l'autopsia e con l'esame tossicologico, che saranno disposti domani dal pm Eugenia Ghi.
Il "passaparola" in carcere racconta di un giovane sensibile, con sedici anni di tossicodipendenza superati nei primi mesi in cella, con il programma "a scalare" utilizzato di prassi per avviare il recupero dei detenuti. Nonostante il vizio della droga, non era mai finito in un commissariato, in una caserma e nemmeno davanti a un giudice. Fino a qualche settimana fa. La vicenda è legata alla "spaccata" del finestrino di un'auto in corso Valdocco.
Aveva armeggiato con un cacciavite senza successo, poi aveva deciso di rompere il cristallo con un martelletto. Ha infilato mezzo busto per prendere due cellulari nel portaoggetti, ma è stato sorpreso dalla proprietaria dell'auto e dal padre, che sono partiti all'inseguimento. Lui è fuggito. Martelletto, cacciavite e un cellulare sono stati ritrovati sotto l'auto; l'altro cellulare era nelle tasche di Valentino, bloccato da un carabiniere in borghese poco distante dall'auto appena scassinata.
Secondo il racconto della proprietaria, il giovane avrebbe scagliato il cacciavite nella sua direzione, come diversivo per la fuga. Tanto è bastato per consentire al pm Antonio Smeriglio di chiedere la condanna a 22 mesi, portata dal giudice Francesco Moroni a 26. Valentino era in cella da sei mesi. Il direttore Claudia Clementi lo aveva inserito nel programma di lavoro in carcere. Lui faceva lo scopino. Mercoledì, aveva fatto il suo dovere, come sempre. Aveva appena portato il sacco dell'immondizia. Poco dopo, il compagno di cella ha dato l'allarme. Erano le 16.45.
La cella è vicina all'ambulatorio, il medico è intervenuto subito. Sono valsi a nulla i suoi sforzi di rianimare Valentino, come pure l'impegno dei medici del "118" arrivati pochi minuti più tardi. Quella mattina, Valentino aveva saputo che il giudice aveva respinto la richiesta di arresti domiciliari. I genitori si erano offerti di ospitarlo a casa e di farlo lavorare nella pizzeria di famiglia, in centro. Ci avevano messo un po' a decidere. Avevano qualche dubbio sul fatto che il giovane potesse ritornare a drogarsi.
Il sospetto è che la delusione possa averlo spinto a cercare la droga anche in carcere. Ma lui non era più abituato e questo potrebbe averlo ucciso. C'è anche l'ipotesi di un malore, magari collegato a problemi al cuore che nemmeno lui sapeva di avere. Autopsia e esame tossicologico sveleranno il mistero. Ma non faranno tornare in vita Valentino.