Due mesi fa Aldo Bianzino era a casa sua. Poi l'arresto e la morte nel carcere di Perugia. Aspettiamo ancora gli esiti della terza perizia autoptica disposta dal pubblico ministero, alla ricerca delle possibili cause della morte e delle sue eventuali responsabilità. Intanto da Lecce arriva notizia di un altro decesso le cui cause vanno chiarite: un detenuto trovato morto con macchie di sangue sul corpo.
Anche lì la Procura ha avviato le indagini ed è veramente troppo presto per ipotizzarne gli esiti. Questi episodi e gli altri elencati nel dossier di Antigone ci ricordano di quale terribile meccanismo sia la privazione della libertà per motivi di giustizia: farmaco che cura e che avvelena, il diritto penale si porta con sé la violenza che intende debellare. Negli alambicchi giurisprudenziali tutto si vorrebbe saggiamente misurato, per sanzionare il male e per arrecarne il meno possibile, quando necessario. Ma la procedura, e poi la pena, non sono prodotti di laboratorio, ma fatti umani, di uomini e donne, con le loro qualità e le loro miserie. Capita così che, a dispetto di ogni sacro principio e persino di ogni saggia amministrazione, quando c'è, si muoia ancora in galera, nel mentre che la vita di uomini e donne è affidata alle cure, all'incuria o all'arbitrio di altri. Di fronte a questa tragedia sempre incombente, per quanto è nelle mie responsabilità, ho fatto un punto d'onore della massima trasparenza e del massimo impegno dell'Amministrazione penitenziaria nel sostegno alle attività della magistratura inquirente e nell'accertamento di tutte le eventuali responsabilità amministrative di quanto è accaduto o dovesse accadere, sia esso di rilievo penale o no. D'altro canto, le inchieste, i processi e finanche le condanne non restituiranno Aldo Bianzino e i suoi compagni di sventura alla vita e agli affetti dei loro cari, e sulle amministrazioni dello Stato, su chi le dirige e su chi ne risponde politicamente resterà l'onta di quanto accaduto. Bisogna, dunque, fare di più: lavorare, per quanto possibile, a potenziare le strategie di prevenzione degli eventi critici.
Ad agosto è entrata in vigore la circolare che riforma e potenzia il servizio di accoglienza dei detenuti in carcere. Ne stiamo monitorando l'applicazione: non è ancora a pieno regime (mancano in molti istituti spazi e personale per applicarla efficacemente) e chissà se sarebbe stata sufficiente a prevenire la morte di Aldo Bianzino (i detenuti nelle sezioni di accoglienza dovrebbero essere ospitati in «camere di due-tre posti», e dovrebbe essere garantita loro la permanenza fuori dalla cella nella misura più ampia consentita), ma è un primo passo nella giusta direzione. Altrettanto va fatto in termini di formazione e aggiornamento del personale, non solo per il rispetto della dignità della persona privata della libertà, ma anche per una gestione attenta e responsabile degli stessi «eventi critici»: per tornare al «caso Bianzino», se è vero quanto la compagna ha raccontato a noi, al pm e ai mezzi di comunicazione, al lutto della morte del marito, si sarebbe aggiunta l'onta di una amministrazione che tra i molti possibili avrebbe trovato il modo, per così dire, meno delicato per informarla della tragedia (al quarto colloquio, dopo tre ore e molte reticenze).
Altro ancora è possibile fare sul versante amministrativo. L'Ufficio ispettivo del Dap alle attività investigative ha affiancato finalmente - in ritardo di decenni - la prima approfondita analisi delle condizioni di contesto degli «eventi critici», dalla quale speriamo di poter sapere di più sui modelli organizzativi, gli ambienti detentivi, le relazioni personali, le condizioni soggettive che accompagnano il loro manifestarsi. Intanto, il Capo Dipartimento ha avviato la programmazione della messa in opera del Regolamento penitenziario del 2000, a lungo negletto e svillaneggiato dal precedente governo.
Senza dimenticare che, grazie all'iniziativa di questo governo, si è finalmente deciso che entro il 31 marzo 2008 l'assistenza ai detenuti passerà al Servizio sanitario nazionale, con un'aspettativa di miglioramento della qualità nella tutela della salute che è di per sé prevenzione di «eventi critici».
Un contributo ulteriore, infine, potrebbe venire dal Parlamento, se avesse la determinazione di portare a compimento l'iter del disegno di legge istitutivo del Garante delle persone private della libertà, già approvato dalla Camera. L'esperienza dei garanti nominati dalle Regioni e dagli enti locali ci dice dell'importanza di una figura di questo genere, dichiaratamente non giurisdizionale, attenta ai diritti dei detenuti e alle possibilità concrete del loro esercizio. Il sistema penitenziario nel suo complesso, dal personale alla magistratura di sorveglianza, non potrebbe che avvantaggiarsi della presenza pienamente legittimata di una figura terza, di prevenzione e composizione di sempre possibili conflitti tra chi è privato della libertà e chi, in nostro nome, è tenuto istituzionalmente a disporre quella privazione.