Si muore, nelle carceri italiane, prima e dopo l'indulto. Nell'anno appena terminato 117 morti, di questi 42 sono suicidi. Nel 2006 i morti sono stati 134, di cui 50 suicidi. Nel 2005 le morti sono state 172, 57 i suicidi. Si muore con la testa infilata in un sacchetto pieno di gas, impiccati con le proprie lenzuola, di overdose, di morti improvvise che non trovano spiegazioni ma che lasciano inspiegabili segni sui corpi. In termini tecnici, nella vita di un carcere, questi episodi si definiscono «eventi critici», un modo elegante per non usare le parole morte e violenza.
A volte si muore per non tornare indietro. E' il caso di Giuseppe Contini (48 anni), che si è impiccato nel carcere di Cagliari per tornare nell'Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Barcellona Pozzo di Gotto dove aveva trascorso cinque anni. Altre volte si muore perché non si vede una fine. Gianluigi Frigerio (50 anni) si è tolto la vita perché la sua misura di sicurezza, dopo sette anni, era stata nuovamente prorogata. Entrato per oltraggio a pubblico ufficiale, non era più uscito dall'Opg di Aversa.
«E' finito l'effetto dell'indulto - è il commento di Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone - ora è indispensabile la riforma del codice penale». Sono storie che andrebbero perse se non ci fosse chi le raccoglie, come Ristretti Orizzonti, agenzia di stampa dedicata al carcere, o l'associazione A Buon Diritto, o ancora Antigone.
Gli ultimi suicidi
Marco Erittu, 40 anni, muore il 18 novembre 2007 nella cella d'isolamento del carcere di Sassari. L'autopsia conferma la morte per asfissia impiccagione. Il giorno prima il detenuto ha scritto ai giudici sostenendo di temere per la propria vita. Angelo (20 anni), tossicodipendente, si è ucciso nel carcere di Reggio Calabria, il giorno del rientro dalla comunità terapeutica dove aveva cominciato un percorso bruscamente interrotto. Driss K. (25 anni), marocchino, detenuto nel carcere di Modena per furto, si è tolto la vita con il gas. Roberto Conte (43 anni), tossicodipendente con problemi psichici, si è impiccato invece nella sezione «a rischio» del carcere di Marassi, con delle lenzuola di carta. Un dramma evitabile, per Patrizia Bellotto della Cgil-Polizia Penitenziaria. «Il suicidio di questa persona deve pesare sulle coscienze di tutti, ma soprattutto di chi avrebbe dovuto e potuto garantire un nuovo corso al difficile lavoro del poliziotto penitenziario e invece si è reso complice ed ha alimentato un indecente sistema di favoritismi».
Il caso di Aldo Bianzino...
Ma ci sono altre storie inquietanti. La mattina del 12 ottobre 2007, a Città di Castello, i carabinieri arrestano Aldo Bianzino (44 anni) perché trovano alcune piantine di marijuana nel terreno del suo casolare. Condotto nel carcere di Capanne, viene sottoposto ad una visita medica e poi rinchiuso in una cella di isolamento. Secondo il padre «nel frattempo non c'è stata un'udienza di convalida dell'arresto, non è entrato in contatto con altri detenuti, non ha contattato nessuno esterno al carcere». La mattina del 14 ottobre Bianzino viene trovato morto. L'autopsia evidenzia lesioni al cervello e all'addome. Alcuni detenuti affermano di aver udito Bianzino chiedere aiuto. Un agente è indagato per omissione di soccorso. Una storia atroce, ma non unica.
...e quello di Marcello Lonzi
Nel carcere di Livorno, Marcello Lonzi viene trovato morto, coperto di sangue, con il volto tumefatto. L'autopsia dichiara la morte per cause naturali. E'l'11 luglio del 2003. La madre, Maria Cioffi, sporge denuncia. Si apre un'inchiesta. Dopo un anno il pm chiede l' archiviazione. Il 23 luglio 2004 si richiede un supplemento di indagine, sulla base di alcune fotografie che mostrano il corpo coperto di segni di striature viola sulla pelle gonfia e rialzata, «ecchimosi che - secondo il legale della famiglia - possono essere state fatte solo con un bastone, un manganello». Il gip dispone ugualmente l'archiviazione. Il 29 ottobre 2006, a seguito di richiesta della difesa, si procede alla riesumazione della salma per effettuare nuovi esami, sulla base dei quali, nell'ottobre 2007, la magistratura ha avviato nuove indagini.
I processi conclusi
F.R. (28 anni), detenuto nel carcere di Reggio Calabria, viene rinvenuto, in fin di vita, all'interno di uno dei cortili. Trasportato all'ospedale, muore dopo pochi giorni senza riprendere conoscenza. Gli accertamenti stabiliscono che il decesso è avvenuto a seguito di violenze, calci, pugni e corpi contundenti. Era il 29 luglio del '97. Il processo si è concluso, in via definitiva, il 5 ottobre 2005 con l'assoluzione di 19 imputati e la condanna di un agente penitenziario a 8 mesi per false dichiarazioni. Ora pende il ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
Nel 2007 è terminata con l'assoluzione la seconda tranche del processo contro gli agenti penitenziari del carcere di Sassari accusati di abusi, violenze e maltrattamenti. Sono stati, invece, rinviati a giudizio con l'imputazione di omicidio colposo e condotte omissive, due agenti di polizia del carcere di Secondigliano per il suicidio di un detenuto avvenuto nel 2002. Morti e suicidi che meriterebbero una seria prevenzione, procedure, indagini e processi rapidi e veloci, a garanzia di tutti, vittime e imputati. Perché il diritto alla vita vale anche tra le mura di un carcere.