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Roberta Radici: "Aldo è stato ucciso"
28 dicembre 2007

Mi chiamo Roberta Radici, vivo sull'Appennino umbro-marchigiano fino a poco tempo fa insieme al mio compagno, mio figlio e mia madre di 91 anni.
Una mattina le nostre vite sono state lacerate, come se fosse venuto il diavolo a bussare alla nostra porta, la nostra famiglia mutilata in tutti i sensi.
Venerdì 12 ottobre, quattro poliziotti, una poliziotta, un finanziere con il cane ci hanno chiesto se avessimo un avvocato di fiducia. Quando abbiamo detto di no, hanno proceduto mostrandoci un foglio che li autorizzava a perquisire la nostra abitazione. Quando hanno visto che non c'era niente in casa sono andati a guardare nei campi intorno, sempre di proprietà di Aldo, e hanno trovato queste piante di marijuana che subito Aldo ha detto essere per il suo uso personale e che ne rispondeva lui.
Ci siamo fatti portare via senza chiamare nessun avvocato, anzi ne hanno chiamato uno d'ufficio allorché siamo arrivati nel Commissariato di Città di Castello. Da lì ci hanno portato prima alla Questura di Perugia dove hanno rilevato impronte e scattato le foto, facendoci sentire sbattuti come criminali ma evidentemente è la prassi. Da lì siamo andati insieme al carcere di Capanne. Ci hanno subito separati e io sono stata la prima ad essere immatricolata e portata nel padiglione femminile dove sono stata messa in una cella con altre detenute.
Sabato 13 ottobre, verso le due è venuto l'avvocato di ufficio che la Polizia di Città di Castello aveva chiamato, che con Aldo aveva parlato. Guardandolo negli occhi ho chiesto: "ma lui come sta?". "Beh, sicuramente è una persona che sta vivendo una situazione difficile, non siete mai stati coinvolti in una cosa del genere però le condizioni di salute sono perfette."
La domenica mattina mi sono svegliata e non mi sentivo bene. E' arrivata una secondina - o carceriera non so come definirla - che ha detto "Radici, è desiderata giù".
Mi sono seduta, mi ha fatto sedere questo personaggio che mi si è parato davanti, vestito in borghese, si è presentato come il vice-ispettore capo. Ha detto: "Io, signora, stavo andando a caccia e sono qui apposta per lei". Mi ha cominciato a chiedere: "suo marito soffre di svenimenti?", dico: "no, perché cos'è successo?" "Signora! Mi risponda! Soffre di cuore? Ha qualche problema al cuore? E' mai svenuto? Forse non lo sa!". Dico: "Vivo con lui da sedici anni, non mi risulta per niente! Ma dov'è Aldo, me lo dica!" "Lo stanno portando all'ospedale Silvestrini per cercare di salvarlo. L'hanno già intubato, gli faranno una lavanda gastrica".
Insomma, ha bofonchiato qualcosa: "Mi dica, lo possiamo ancora salvare! Chiamo i medici e glielo dico!". Al che dico: "Ma no, assolutamente, cosa dice?" "Va bene, torni su le faremo sapere".
A mezzogiorno torna la secondina che dice: "Radici Roberta, scarcerata. Prenda la sua roba". Io prendo tutte le cose, scendo e mi ritrovo ancora con il vice-ispettore capo e un altro personaggio che non so chi sia ma vestito anche lui in borghese e con l'aria di essere uno che avesse da fare.
Appena finito di firmare chiedo: "Quando posso vedere Aldo?" e questo mi ha risposto letteralmente: "Signora: martedì dopo l'autopsia!"... "COME DOPO L'AUTOPSIA? Che cosa?"
Il medico legale, che mi ha chiamato, alla presenza mia, dell'ex moglie di Aldo, delle sue avvocatesse - dell'ex moglie - e dell'avvocato d'ufficio, quindi davanti a ben cinque persone, mi chiese, secondo il mio punto di vista, quali potessero essere le motivazioni per cui Aldo era stato ucciso. Risposi che non credevo ci fossero motivazioni... ho pensato a un pestaggio andato oltre le intenzioni. Questo signore, il medico legale e non è un mio amico o un passante e quindi ha tutti gli elementi per poter fare delle affermazioni non casuali, ha detto: "No, signora. Questi sono colpi dati con l'intento di uccidere. Colpi dati scientemente, con una tecnica scientifica usata anche presso alcune corporazioni militari, che mirano a distruggere gli organi vitali senza lasciare traccia alcuna.
Perché non si capisce come mai questo cristiano - così si esprimeva - abbia il fegato distaccato e spappolato e da fuori non ci sia neanche un segno, nemmeno sulle ginocchia a dimostrazione che non è caduto. In più ha quattro emorragie cerebrali".
Io non mi fido più di nessuno, non veramente a chi credere. Tutto potevo immaginare tranne che una cosa del genere. Non so cosa dire a mio figlio, a me stessa. Non so cosa pensare dello Stato, cosa pensare della Giustizia. Mi meraviglio che anche all'interno del carcere non ci sia stato nessuno che abbia preso una posizione più seria. Non si sa niente. Muro di gomma. Omertà assoluta. Le chiavi non si sa chi le abbia, i videotape sono stati sequestrati perché erano anomali ma non se ne sa nulla.
Tutto questo per colpa di nessuno? Colpa dello Stato, che non si preoccupa nemmeno di scoprire i colpevoli di una cosa del genere? Io non credo di aver omesso niente di quello che ho da dire. Le mie lacrime, la notte, me le tengo io. Sono io che so quello che sto passando. Non so quello che sta passando mio figlio. A quattordici anni, quello che si può vedere forse non lo sa bene neanche lui.
Quanto questa cosa inciderà sulla sua vita. Questo l'ho chiesto al Pubblico Ministero: "Mi dica cosa devo dire a mio figlio".