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Giustizia: il decreto discrimina, le vere emergenze sono altre
Giuliano Pisapia (Presidente della Commissione per la riforma del Codice Penale)
Fonte: Liberazione, 29 dicembre 2007
29 dicembre 2007

Nelle fabbriche, nei cantieri, nei luoghi di lavoro continua la strage di vite spezzate dalla mancanza di quella sicurezza che lo Stato ha il dovere di garantire a tutti. Napoli brucia sommersa dall'immondizia, l'intero Paese è sconfitto da una Giustizia sempre più sull'orlo di un collasso che rischia di diventare irreversibile.

Sono più di due milioni e mezzo le famiglie che vivono sotto la soglia di povertà: il 10% delle famiglie italiane non ha i soldi per mangiare e il 14,7% non ha la possibilità di curarsi. Il potere d'acquisto dei salari è in continua diminuzione, il costo della vita in inesorabile aumento. La precarietà è in vertiginoso, progressivo aumento.

In Palestina si continua a morire; le guerre e le violenze aumentano in tutto il mondo e, in Italia, aumentano le basi e le spese militari. In questa situazione, sempre più insostenibile, il Governo, nell'ultimo Consiglio dei Ministri dell'anno, invece di prendere gli indispensabili provvedimenti per porre freno ad una deriva senza approdo, approva nuovi incentivi per le imprese e approva un decreto legge sulla sicurezza (sic!), con norme che neppure il governo Berlusconi aveva osato proporre.

Un provvedimento ingiustificato, discriminatorio e incostituzionale, non solo per l'insussistenza di quei presupposti di "straordinaria necessità e urgenza" che possono giustificare la decretazione d'urgenza (art. 77 Cost.), ma anche perché in contrasto con le sentenze della Corte Costituzionale che hanno ritenuto illegittima la reiterazione di decreti legge non convertiti. Se a ciò si aggiunge che, nel 2007 (in particolare negli ultimi 6 mesi), vi è stata una sensibile diminuzione dei reati (meno rapine, meno omicidi, meno incendi, meno scippi etc.), con un bilancio positivo che non ha precedenti, vi sono tutti i motivi per dire che la misura è colma.

Malgrado l'incontestabile fallimento del cd. pacchetto sicurezza del 2001; malgrado l'ingloriosa fine del cd. decreto "antirumeni" , si è perseverato nell'errore, di merito e di metodo, approvando un decreto che servirà affatto per contrastare la criminalità ma che avrà l'effetto, cercato e voluto da una parte del centrosinistra, di creare nuove difficoltà alla sinistra, proprio mentre sta faticosamente avanzando un importante, improcrastinabile e prezioso percorso unitario.

La sicurezza (nei luoghi di lavori, nelle città, nelle proprie abitazioni) è un bene non negoziabile e lo stato ha il dovere di proteggere i cittadini, ma un Governo di cui fa parte anche la sinistra non può fare proprie, appropriandosele dal centrodestra, norme inutili, ingiuste, pericolose e, in parte, criminogene.

Tanto più che - in un momento in cui, al nord, sta dilagando la politica xenofoba della Lega - sarebbe stato invece urgente intervenire, con poche, incisive e condivise, modifiche legislative in grado di dare una risposta alle esigenze, e alle richieste, di una giustizia equa, celere ed efficiente.

Come può, la sinistra, e chiunque crede nei valori della democrazia, accettare che sia punito con tre anni di reclusione, chi, pur non avendo commesso alcun reato, rientra, per lavorare e non per delinquere, nel nostro Paese, dopo esserne stato allontanato a seguito di un provvedimento amministrativo? Come è possibile dimenticare la dura, e vincente, battaglia, in Parlamento e nel Paese, contro una analoga proposta dal Governo Berlusconi?

Come può, la sinistra, accettare l'espulsione di chi lavora regolarmente, e vive onestamente, ma non è in grado di dimostrare di avere risorse economiche sufficienti, perché gli è impedita, dalla legge o dal datore di lavoro, la regolarizzazione della propria posizione?

Come è possibile far propria una norma, a dir poco incivile, che prevede non solo l'espulsione di una "persona sospetta", ma anche dei suoi familiari, con una sorta di responsabilità oggettiva che neppure il fascismo aveva previsto in caso di espulsione, di confino o di altre limitazioni della libertà personale?

Il tutto sarebbe giustificato, si legge nei comunicati stampa, dalla novità dell'espulsione immediata di cittadini comunitari ""sospettati" di terrorismo, e sarebbe stato accettato anche a seguito dell'impegno del governo di una corsia preferenziale per la modifica della Bossi-Fini.

Ebbene, l'espulsione preventiva dei "sospetti di terrorismo" altro non è che la proroga di una norma, approvata dal centrodestra nella scorsa legislatura, che, oggi come allora, è ben difficile non considerare criminogena. In presenza di una persona sulla quale gravano sospetti di terrorismo, lo Stato ha il dovere di fare tutti i controlli e gli accertamenti necessari: se è un terrorista non si può certo lasciarlo libero di andare all'estero a seminare odio e sangue. Se, invece, terrorista non è, allora l'espulsione sarebbe ingiusta, in quanto colpirebbe un innocente (e i suoi familiari), e pericolosa perche rischia di creare le condizioni per il suo ingresso in un circuito illegale, rendendolo facile preda della criminalità organizzata.

Per quanto concerne la garanzia di una corsia preferenziale per la modifica della legge sull'immigrazione, si può solo dire, pur comprendendo le difficoltà di chi ha un ruolo istituzionale, che nulla può giustificare storture costituzionali, politiche e giuridiche quali quelle contenute nel decreto legge approvato dal Governo.

Il decreto, oltre a tutto, è già operativo, mentre, è inutile nasconderselo, il disegno di legge avrà un percorso non agevole e non vi è certezza alcuna che sarà approvato senza modifiche peggiorative. Ora la parola passa al Parlamento, dove la sinistra dovrà liberarsi dalla morsa in cui non pochi, anche all'interno del centrosinistra, cercano di stringerla, con la speranza di stritolarla. Solo una sinistra, unita e plurale, potrà contrastare tale disegno e determinare quella svolta, politica e sociale, necessaria per il Paese e indispensabile, non solo per riconquistare il consenso perduto, ma anche per interloquire con i tanti che ancora intendono affrontare, e risolvere, le vere emergenze.