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Giustizia: gli Opg devono chiudere, subito!
Francesco Caruso
Fonte: Liberazione, 3 dicembre 2007
3 dicembre 2007

È ormai da oltre un decennio che chi si occupa di questioni di carcere,reclusione e sofferenza della mente ha cercato di far chiudere quell'oscenità che si chiama Manicomio criminale di Napoli.

È ormai da oltre un decennio che chi si occupa di questioni di carcere,reclusione e sofferenza della mente ha cercato di far chiudere quell'oscenità che si chiama Manicomio criminale di Napoli. Da qualche decina di anni si chiamano Ospedali psichiatrici giudiziari, ma a cambiare da allora è stata solo la targa all'esterno.

Negli ultimi anni abbiamo organizzato iniziative, ispezioni, interrogazioni parlamentari per denunciare che il quel luogo gli internati venivano tenuti in condizioni disumane, con livelli di assistenza medico-psichiatrica indecenti, con un sistema dei servizi di cura e riabilitazione assolutamente inconsistente, con un uso sistematico ed illegittimo delle forme più estreme di coercizione.

Tre anni fa, alla fine di una ennesima campagna di denuncia di questa situazione, fu necessario un provvedimento di grazia del Presidente della Repubblica per scarcerare Vito De Rosa, un internato che stava rinchiuso lì dentro da 50 anni perché chi in quel posto si doveva occupare del suo diritto ad essere curato e restituito alla vita, per 50 anni l'aveva semplicemente abbandonato. Vito fu scarcerato perché ci preoccupammo di trovargli un luogo dove poter vivere, un servizio di salute mentale che lo potesse aiutare, un servizio sociale che lo sostenesse economicamente. In un paio di mesi riuscimmo a restituire alla vita una persona che era stata condannata dalla magistratura di sorveglianza, dal personale psichiatrico ed educativo dell'Opg di Napoli a morire in un manicomio.

La penultima puntata di questo psicodramma si è svolta la scorsa estate. Con una serie di lettere gli internati dell'Opg di Napoli ci chiesero di andare a visitare quel posto. Una struttura medioevale, più precisamente un ex-convento risalente ai primi del '500, con evidenti problemi di tenuta statica di intere parti dell'edificio. Puzzo di piscio e di merda, celle disadorne, sporche, con fili elettrici penzolanti, infermieri che denunciavano di non avere neanche i guanti e le siringhe, internati legati ai letti di contenzione per settimane, e una coeso sistema di interessi di medici, psichiatri e consulenti che su quel posto vive, fa carriera e produce visibilità e prestigio professionale. Un luogo d'inferno dove gli unici che hanno mostrato almeno vergogna per l'inumanità delle condizioni di vita in cui vengono tenuti gli internati sono stati gli agenti di polizia penitenziaria, gli infermieri, se non altro perché costretti a condividere le stesse condizioni di abbrutimento e degrado dei "prigionieri".

Stavolta sembrava veramente che questo cimitero dei diritti venisse chiuso e invece nel mese di luglio di quest'anno il sottosegretario alla giustizia Manconi si recava in visita al Manicomio criminale di Napoli per annunciare ai medici, agli psichiatri, agli infermieri e agli educatori che il ministro Mastella aveva deciso di stanziare 3 milioni di euro per tenere in piedi quella cloaca (si tratta di non più di 150 famiglie di lavoratori elettori, poca roba direbbe qualcuno, ma da non sputarci sopra in un tempo in cui le battaglie elettorali e sindacali si fanno di nuovo occultando i certificati di morte del nonno o della zia). Abbiamo perso!

Il 19 novembre 2007 notizie di stampa rivelano che, in seguito ad un'indagine avviata dalla Procura della Repubblica di Napoli, l'amministrazione penitenziaria è stata costretta a proporre al ministro Mastella la delocalizzazione dell'Opg di Napoli, perché una perizia tecnica ne ha accertato un pericolo di crollo delle strutture ed una relazione della Asl Na1 ha per l'ennesima volta dichiarato illegittime le condizioni dell'assistenza sanitaria di quel posto. Nello stesso giorno un'assemblea indetta dai sindacati interni si oppone alla chiusura sostenendo, tra l'altro, che: "Per il clima di serenità esistente, per le attività trattamentali conseguite nonostante i disagi creati dalla mancanza di personale di Polizia Penitenziaria costituisce "un'isola". Questo documento è firmato da tutte le organizzazioni sindacali che hanno rappresentanza nell'Opg di Napoli, dal sindacato "di destra" Sappe, a Cgil - Cisl e Uil: un manualistico esempio di unità nazionale.

La politica che sogna un governo istituzionale impari: unisce più il privilegio del ragioniere di fare un salto dal meccanico quando termina le sue sei ore lavorative o quello della psichiatra di passare dal suo estetista prima di andare al lavoro, che una battaglia per la tutela della dignità umana e del diritto alla salute di un sofferente psichico. Ora il rischio è la deportazione degli internati all'interno del carcere di Secondigliano, cioè dalla padella alla brace: per questo è arrivato il momento di affrontare una volta per tutte la questione della decarcerizzazione del disagio mentale, la chiusura di questi manicomi che a distanza da 30 anni dalla legge Basaglia sono ancora aperti e l'affidamento ai dipartimenti di salute mentale.

Lo vogliamo scritto nero su bianco nel collegato alla finanziaria sulla riforma del servizio sanitario nazionale. E questa volta non dobbiamo semplicemente minacciare il voto contrario per poi, spalle contro al muro, accettare eventuali compromessi al ribasso. Questa volta per portarci alla camera a votare, dovranno venire i ministri e poliziotti a prenderci uno per uno, deputati e relativi attivisti entrati negli Opg come collaboratori, nei sei manicomi criminali, e slegarci da quei letti dell'orrore dove gli internati trascorrono anche settimane e settimane con le mani, il torace e i piedi legati a queste brande di coercizione con il buco al centro per fare i propri bisogni.

Autoreclusi e autolegati come atto estremo di protesta e di disobbedienza. Dovranno venirci a prendere e vedere con i propri occhi l'orrore che si cela dietro quelle sbarre, perché all'ergastolo bianco della non imputabilità si sostituisca finalmente dopo più di un secolo la cura, l'assistenza e infine anche, addirittura, la libertà.