108 anni di carcere per 18 compagne e compagni, condannati per "concorso in devastazione e saccheggio". Questo è il verdetto pronunciato ieri mattina nel Tribunale di Milano.
Una pena collettiva di 6 anni a testa (scontati a 4 per il rito abbreviato) che ha risparmiato solo 9 dei 27 imputati, assolti con formula piena per mancanza d'indizi.
L'uso inedito e pretestuoso del "concorso" ha permesso d'infliggere anni e anni di galera sulla base dell'assenza di prove specifiche che potessero qualificare le condotte individuali. Non sono state punite delle azioni definite, ma le stesse motivazioni che hanno portato le persone a scendere in piazza. E' passato inoltre il principio per cui chiunque si trovi all'interno di una manifestazione dove si verifichino incidenti o scontri di qualsiasi tipo, può essere ritenuto colpevole di tutto ciò che è accaduto. Fra 60 giorni usciranno le motivazioni della sentenza, ma già ora non è difficile capire che l'esito pesantissimo di questo processo ha confermato l'intero impianto accusatorio del PM.
Sulla pelle dei 18 antifascisti/e si consacra l'uso del reato di "devastazione e saccheggio", pena dagli 8 ai 15 anni. Un reato di "guerra" (nel codice penale si trova in paragrafi vicino ad altri tipo "strage") che a Milano viene sdoganato "a tappeto", grazie alla formula del "concorso", diventando così un pericoloso e riproducibile precedente. Una minaccia che incombe su tutti gli altri procedimenti in corso, da Torino a Genova, e sulle mobilitazioni future. Un passo decisivo all'interno della svolta autoritaria nella gestione/repressione delle forme di dissenso e opposizione sociale.
La sentenza, pronunciata proprio alla vigilia del quinto anniversario dell'assassinio di Carlo Giuliani, ha fatto molto clamore sui media ed è stata commentata in vari modi. La punizione esemplare inflitta dal giudice milanese, accolta con favore dai settori della destra reazionaria e con perplessità e disapprovazione da alcuni soggetti della sinistra al governo, non può essere compresa se non all'interno di un quadro repressivo più generale che sembra trasversalmente condiviso nel mondo politico istituzionale.
I nuovi paradigmi repressivi e di controllo che si stanno sperimentando e consolidando passano attraverso lunghissime carcerazioni preventive, la contestazione di reati associativi e sull'utilizzo di capi d'imputazione spropositati rispetto ai fatti (per un danneggiamento si chiede devastazione e saccheggio, per un' autoriduzione o per l'allontanamento da un treno si usa il pretesto di un' oggetto perso per dare rapina). Su queste trasformazioni è necessaria una valutazione ampia che, uscendo dalle specificità territoriali, dia un quadro nazionale della situazione al fine di costruire risposte adeguate.
Ora i 18 condannati per i fatti di c.so Buenos Aires sono agli arresti domiciliari con il divieto di comunicazione, esclusi con i conviventi e l'avvocato. Un'ulteriore forma di restrizione che arriva dopo quattro mesi di carcere preventivo a cui sono stati sottoposti "gratuitamente" anche i compagni e le compagne assolti.
La battaglia di libertà non potrà concludersi se non con la liberazione e l'assoluzione di tutti gli imputati. Ieri ad aspettare la sentenza erano presenti oltre 300 compagni e compagne che hanno poi dato vita a un corteo che ha raggiunto il centro di Milano passando per piazza Fontana, luogo simbolo della stagione delle stragi di Stato e della strategia della tensione. Una prima risposta immediata che deve trovare seguito continuando ad alimentare la solidarietà verso gli antifascisti dell'11 marzo e a respingere il teorema accusatorio che li ha voluti condannare duramente.
DEVASTANO LE NOSTRE VITE, SACCHEGGIANO IL NOSTRO FUTURO
CARLO E DAX RESISTONO
NESSUNA GIUSTIZIA, NESSUNA PACE
Officina della Resistenza Sociale
Milano, Navigli Antifascisti