Sono passati 4 mesi esatti da quel l'11 marzo in Corso Buenos Aires a Milano. Quattro mesi da quel pomeriggio di guerriglia urbana con cui si concluse il corteo organizzato dai centri sociali per protestare contro una manifestazione della Fiamma Tricolore. Quattro mesi, che per 25 ragazzi e ragazze sono trascorsi nelle carceri milanesi di Bollate e San Vittore. Arrestati per saccheggio, devastazione ma anche per "concorso morale" con questi reati. Ovvero, per essere stati quel giorno in quel posto. Per questo - fermo restando la necessità di individuare le singole responsabilità di quel pomeriggio di inaudita violenza - il comitato "Mai più 11 marzo", a cui hanno aderito, oltre a genitori e amici degli arrestati, 116 deputati e senatori, chiede una riflessione collettiva su quanto avvenne quel giorno. E soprattutto sull´idea di giustizia che sta affiorando dal processo che è iniziato lunedì.
Sì, perchè la requisitoria del pm milanese Piero Basilone ha lasciato tutti un pò perplessi. Nessuna prova concreta emerge dalle decine di video esaminati, solo un sommario coinvolgimento nei fatti accaduti questa primavera. Una ragazza, G.M., «è ritratta mentre porta una bottiglia d'acqua ai manifestanti cosa che non puo' essere considerata una neutra presenza sul luogo del delitto. Perché - si chiede il pubblico ministero - non offrire una bottiglia d'acqua alle forze dell´ordine?». La condanna, anche per G.M., è di 8 anni, ridotti a 5 anni ed 8 mesi, perchè tutti i 25 imputati hanno scelto la formula del rito abbreviato che riduce di un terzo la pena. Per altri due ragazzi, che hanno già precedenti penali, la pena è di 6 anni di reclusione. Altri due dei 29 indagati, infine, hanno optato per il patteggiamento.
Alcuni stralci della prima udienza evidenziano le lacune dell´impianto accusatorio: «Mi riesce difficile - afferma il pm - pensare a un atteggiamento di non conoscenza di cio' che accadeva, anche perche' teniamo presente che ciò è accaduto anche perché queste persone erano lì». Per questo, spiega, non è possibile «riconoscere a taluni più che ad altri le attenuanti». Perchè solo se quel pomeriggio nulla fosse accaduto, solo se nessuno di loro fosse stato presente, ora sarebbe scagionabile: «Qualsiasi comportamento diverso, anche solo un'adesione emotiva va considerata come partecipazione».
Lo stato di diritto, forse, è un´altra cosa. È quello che si chiede Mirko Mazzali, l´avvocato che segue 16 dei 29 imputati: «È la prima volta che mi capita di sentire un pm che chiede condanne così pesanti per devastazione senza avere un indizio, una foto, un filmato, una testimonianza, del fatto che un singolo imputato abbia fatto un singolo danneggiamento». Rincara la dose Graziella Mascia, parlamentare di Rifondazione: «Uno Stato di diritto non può non denunciare un uso quantomeno improprio degli strumenti giudiziari fondati non più sull'elemento personale della responsabilità penale, ma su un uso del tutto arbitrario del principio di concorso morale. Le richieste avanzate oggi dall'accusa non fanno che confermare questa impostazione; il rischio, qualora venissero accolte, è quello di creare un precedente pericoloso nei confronti del diritto a manifestare».
In attesa della sentenza - che pare slitterà al 17 o al 19 luglio - il ministero degli Interni e quello della Difesa chiedono ad ogni imputato 10mila euro di risarcimento per danni all´immagine e alla morale dell´istituzione. Il Comune di Milano chiede 17 mila euro per i danni subiti in corso Buenos Aires e altri 10 mila per il danno d´immagine.