Il libro di Piermichele Pollutri "Parma 25 agosto 1972″ (Fedelo's editrice, 160 pp., 16 euro) ha il merito di sottrarre all'oblio, attraverso la ricostruzione della vicenda, del contesto sociale e politico, nazionale e locale, l'omicidio dell'operaio e militante di Lotta Continua, Mariano Lupo.
Pollutri si sofferma giustamente sulla matrice neo-fascista dell'omicidio, sui legami tra la destra radicale e "di movimento" e il Msi, sulle relazioni sotterranee locali tra i fascisti e la Dc, sul sostegno dei poteri forti e della stampa parmense a chi, con il terrore e i manganelli, si proponeva come il vero garante dell'ordine.
Non solo Mariano Lupo non venne ucciso da semplici delinquenti, come sosteneva il Questore di Parma e la prima scandalosa sentenza emessa dalla Corte d'Assise di Ancona, ma i suoi assassini - i camerati Edgardo Bonazzi, Andrea Ringozzi e Luigi Saporiti - usarono la violenza, come molti altri, per attuare il progetto politico della destra eversiva di preparare nel Paese una torsione autoritari, brutalmente anticomunista e golpista. L'autore ricorda in proposito che tra il 1969 e il 1974 vi furono nel nostro Paese 92 morti per fatti politici, di cui 63 uccisi da atti terroristici e criminali di destra, 10 in scontri con le forze dell'ordine, 8 in altre circostanze, 2 ad opera di ignoti e 8 attribuibili all'azione di organizzazioni di sinistra.
Parma fu una sorta di laboratorio per la destra fascista: era presente una vera e propria piccola galassia di sigle e organizzazioni, sostenuta economicamente sia dall'esterno sia da alcuni imprenditori locali, ed erano presenti alcune figure - come ad esempio Claudio Mutti, frequentatore assiduo degli ordinovisti veneti - che ebbero indubbiamente un ruolo nazionale nell'articolazione della strategia della tensione. E a Parma i neo-fascisti dovevano assolutamente intervenire.
Vi erano una tradizione antifascista forte e solida - il ricordo delle barricate dell'Oltretorrente era ancora vivo - e una presenza radicata e crescente dei movimenti e della sinistra extra-parlamentare che si era, a partire dalla fine degli anni '60, affiancata al Pci. Pollutri ricorda le lotte nelle fabbriche, l'occupazione dell'ospedale psichiatrico di Colorno, l'occupazione del Duomo da parte dei cattolici del dissenso.
Mariano Lupo pagò con la vita l'essere figlio di quella stagione straordinaria, di quelle lotte e di quella città. Pollutri indaga anche le distanze profonde tra le organizzazioni storiche della sinistra e i gruppi, facendo propria la lettura della sinistra extra-parlamentare. Già nei primi anni '70 il Pci - afferma l'autore - era totalmente assorbito dall'attività istituzionale di governo della città, producendo così una separatezza netta tra il gruppo dirigente e l'ampia base: l' analisi del ruolo del Pci di Parma che Pollutri fa rischia di apparire semplicistica e schematica. Chiuso nelle stanze del potere, il Pci parmense - questo il punto di vista di Pollutri - sottovalutò la crescente violenza neo-fascista, le minacce e gli agguati nei confronti dei militanti della nuova sinistra. I dirigenti optarono per un antifascismo istituzionale, al contrario di tanti iscritti che partecipavano alle lotte, alle occupazioni e agli scontri con i fascisti. Una distanza che si ridusse solo nei giorni successivi dell'omicidio quando, interpretando un sentimento diffuso e popolare, un fiume di persone indignate andò a distruggere la sede del Msi. Al di là di alcune forzature nella ricostruzione storica, Pollutri ci ricorda che, una sera d'estate a Parma, un operaio di vent'anni venne ucciso all'uscita da un cinema. Il 25 agosto del 1972, a cinquant'anni dai giorni della ribellione dei quartieri popolare dell'Oltretorrente parmense contro i fascisti.
Chi lo accoltellò non voleva uccidere soltanto un ragazzo, ma le lotte a cui aveva partecipato e i valori in cui credeva. Voleva uccidere la democrazia di cui parla la Costituzione. E' anche per questo che, dopo trentotto anni, è indispensabile ricordarsi di Mariano Lupo