Davanti alla Commissione di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, il procuratore nazionale antimafia Vincenzo Macrì ha messo a fuoco alcuni dettagli dell'enigma rappresentato da Francesco Fonti, il pentito di 'ndrangheta che con le sue rivelazioni sembrava aver svelato i misteri che ancora avvolgono il giallo delle "navi dei veleni", segnando una svolta nelle indagini sullo smaltimento di scorie tossiche e nucleari mediante navi a perdere affondate nei nostri mari. Macrì sulla attendibilità del pentito ha espresso una convinzione: «Fino ad oggi alle parole di Fonti non sono seguiti riscontri ma le indagini non sono ancora concluse e certe dichiarazioni vanno approfondite, anche perché nei giorni scorsi Fonti ha ripreso a deporre, dopo essersi rifiutato di farlo chiedendo inutilmente di essere reinserito in quel programma di protezione da cui era uscito all'inizio del duemila».
Il Procuratore Macrì, con Francesco Fonti, ha avuto molti colloqui investigativi in un periodo compreso tra il '94 e il 2005, «ma con me - ammette - non ha mai parlato di navi affondate. Nel maggio del 2003 mi parlò per la prima volta di rifiuti tossici in parte interrati in Basilicata, in parte trasportati a bordo di camion al porto di Livorno e qui imbarcati su una nave battente bandiera norvegese diretta in Somalia. (...) A ottobre dello stesso anno tornò a parlarmi, facendomi anche alcuni nomi, del traffico di rifiuti tossici verso l'Africa e il Medio Oriente...». A settembre di quello stesso anno risale anche l'ultimo colloquio investigativo, «in cui - ricorda Macrì - Fonti mi parlò dei rapporti con un tale, conosciuto in carcere, che gli aveva parlato di un traffico di rifiuti radioattivi con la Somalia».
Secondo Macrì sull'attendibilità di Fonti occorre «essere cauti». «Eppure - riconosce - le sue dichiarazioni sul traffico di stupefacenti delle cosche di San Luca e sulla organizzazione interna della 'ndrangheta sono attendibili e verificate (...); mi pare invece decisamente meno credibile quando racconta di rapporti con imprenditori, massoni, uomini politici e delle istituzioni», personaggi con tutta evidenza «superiori a quello che è il suo spessore criminale».
Insomma c'è il rischio che Fonti, non si sa se consapevolmente o no, sia stato manipolato da un terzo soggetto interessato a intorbidare le acque delle inchieste sui traffici di scorie nucleari. E indirettamente il Procuratore Macrì, proprio su questo punto, una vera e propria rivelazione, dalle importanti implicazioni, sfuggita a tutti, l'ha fatta. Basta leggere le relazioni conclusive dell'opposizione nella commissione parlamentare di inchiesta sul delitto Alpi-Hrovatin (i cui lavori sono terminati nel 2006 con roventi polemiche sull'operato del presidente Carlo Taormina), per scoprire chi sia con ogni probabilità l'autore delle imbeccate che Fonti ha poi propalato nei suoi interrogatori e nelle rivelazioni alla stampa. Il Dr. Carlo Visconti, anch'egli sostituto procuratore presso la Dna, nel corso della sua audizione ha infatti riferito al parlamento «di aver avuto un rapporto molto limitato con il collaboratore Francesco Fonti, sostanzialmente finito sul nascere a causa del rigetto del programma di protezione da parte della competente commissione. Oltretutto, nell'ambito delle dichiarazioni rese dal Fonti, non sono mai emersi elementi di collegamento con la vicenda Alpi-Hrovatin tantomeno con il traffico di rifiuti».
Il magistrato ha riferito di aver compiuto un accertamento «dal quale risultava che Francesco Fonti e Guido Garelli erano stati detenuti nello stesso periodo presso il carcere di Ivrea ove occupavano celle diverse che si trovavano, però, sostanzialmente una di fronte l'altra. Da qui si poteva tranquillamente dedurre che, seppur non risultava che all'interno della struttura carceraria i due personaggi si fossero incontrati, era altrettanto vero che avrebbero potuto tranquillamente colloquiare relativamente alla posizione che le rispettive celle occupavano». Insomma il misterioso suggeritore di Francesco Fonti e delle sue più che clamorose rivelazioni, il cui fantasma è stato evocato dal Procuratore Macrì, potrebbe essere il noto animatore del Progetto Urano, il centro di tutta una serie di inchieste delle procure di Milano, Asti, Brindisi e Roma sullo smaltimento di scorie nucleari nel Sahara Occidentale e in Somalia. Traffici collegati allo scambio armi/rifiuti nelle aree più disparate del pianeta. Si tratta dello stesso Guido Garelli firmatario di una "lettera di intenti riservatissima", risalente al giugno 1992, assieme a Giancarlo Marocchino (il cui nome è legato alle indagini sul delitto Alpi-Hrovatin avvenuto a Mogadiscio il 21 marzo 1994 e principale "collaboratore nella ricerca della verità" scelto da Taormina) e al console onorario di Somalia in Italia, il massone Ezio Scaglione (già membro della segreteria dell'onorevole Boniver ai tempi del Psi), finalizzata alla prosecuzione del progetto Urano in Somalia.
E proprio Scaglione ha di fatto confermato in un interrogatorio reso davanti agli investigatori della procura della Repubblica di Asti l'intento che animava il progetto Urano in Somalia, ammettendo che l'impegno sottoscritto con la "lettera di intenti riservatissima", siglata a Nairobi il 24 giugno 1992, non riguardava affatto - come scritto - partite di derrate alimentari, ma lo sviluppo del progetto di esportazione di rifiuti tossico-nocivi: «Detto progetto riguardava anche i rifiuti radioattivi e nucleari (hanno scritto i magistrati nella richiesta di archiviazione del procedimento del 19 febbraio 2004) i quali secondo i disegni esibiti dal Garelli dovevano essere contenuti in grandi cilindri metallici contenenti al loro interno una camera di stoccaggio, secondo un progetto asseritamente concepito, a detta di Garelli, dalla Oto Melara di La Spezia».
Insomma tutte le vicende connesse ai traffici di armi e di scorie tossiche e nucleari verso la Somalia, così come i corollari annessi alle indagini sull'omicidio dei due inviati Rai uccisi a Mogadiscio, ad una settimana dalle "storiche" elezioni del 27 marzo 1994, continuano ad essere oggetto di partite sotterranee, pilotate da mani esperte, misteriose e potenti, per allontanare una verità che evidentemente, nonostante siano passati tanti anni dai fatti, fa ancora molta paura.
Secondo quanto riferito nel 2004 dal governo al Parlamento, il Progetto Urano era «finalizzato all'illecito smaltimento, in alcune aree del Sahara, di rifiuti industriali tossico-nocivi e radioattivi provenienti dai Paesi europei. Numerosi elementi indicavano il coinvolgimento nel suddetto traffico di soggetti istituzionali di governi europei ed extraeuropei, nonché di esponenti della criminalità organizzata e di personaggi spregiudicati, tra cui il noto Giorgio Comerio, faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia». Secondo una denuncia pubblica di Greenpeace International i traffici di Comerio andrebbero riferiti alla società O.D.M. la cui sede a Londra era nello studio dell'avvocato David Mills, da poco condannato per essersi fatto corrompere da Silvio Berlusconi (anche lui ex piduista) testimoniando il falso davanti ai giudici milanesi che indagavano sui passaggi di denaro da Berlusconi a Bettino Craxi.
E' presto per parlare di depistaggi nel caso di Francesco Fonti ma, allo stesso tempo, non si può non notare come sia assodato (dalla strage di Bologna in poi) che il "miglior depistaggio" non consista tanto nell'inquinare una inchiesta con false prove, quanto nel rendere una determinata pista impraticabile, inattendibile, ridicolizzando anche solo l'ipotesi di nuovi e più incisivi accertamenti. Nel frattempo continuano le attività della commissione parlamentare presieduta da Gaetano Pecorella, ex avvocato di Silvio Berlusconi, che ha più volte ribadito l'impegno della Commissione sul fenomeno delle cosiddette "navi a perdere". Un impegno "rimasto immutato" anche dopo i dubbi sollevati dalle vistose incongruenze emerse nelle rivelazioni di Francesco Fonti.