Sono passati 15 anni dal tragico agguato in cui, a Mogadiscio, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono stati assassinati.
Prima della morte di Ilaria vorrei che ricordassimo la sua vita così breve e così intensa.
Ricordare il suo impegno e la sua passione per i paesi, in particolare per l'Africa, tormentati dalla fame, dalla povertà e dalle guerre che i vari "signori", sostenuti dai paesi occidentali, continuano ad alimentare: pensiamo a che cosa sta ancora accadendo proprio in Somalia anche in questo periodo.
Tutti i suoi lavori testimoniano questa sua "vicinanza" alle donne, i bambini, prime vittime delle ingiustizie dello squilibrato rapporto nord sud del mondo: non c'è servizio di Ilaria che racconti anche le questioni "grandi" come la guerra , la violenza senza partire dalla vita quotidiana delle persone, con una volontà di conoscere e far conoscere, con una sensibilità, partecipazione al dolore e alle sofferenze evidente e coinvolgente. Un modo, il suo, di fare giornalismo, lontano dai frastuoni della celebrità, vicino a chi soffre. Un giornalismo e una storia, la sua, che raccontano di possibili inquietanti intrecci tra cooperazione e criminalità, tra aiuti allo sviluppo, traffico di armi e pratiche di smaltimento illegale di rifiuti tossici.
"Dove sono finiti i 1400 miliardi della cooperazione italiana?" aveva scritto Ilaria prima di partire per quello che sarà il suo ultimo viaggio. Un giornalismo profondamente etico e rigoroso come scelta di conoscere i fatti di raccontarne la verità, di suscitare indignazione e contribuire così a cambiare questo mondo. E proprio per questo un modo di fare giornalismo più efficace. Anche "pericoloso" per chi ha interesse a che il mondo rimanga così com'è, profondamente ingiusto. Per chi ne ha commissionato l'omicidio, come si legge nell'ordinanza di prosecuzione delle indagini con la quale il dottor Emanuele Cersosimo ha respinto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura della Repubblica di Roma il 2 dicembre 2007: "....la ricostruzione della vicenda.....quella dell'omicidio su commissione, assassinio posto in essere per impedire che le notizie raccolte dalla Alpi e dal Hrovatin in ordine ai traffici di armi e di rifiuti tossici avvenuti tra l'Italia e la Somalia venissero portate a conoscenza dell'opinione pubblica.....".
Le diverse indagini della magistratura e delle commissioni d'inchiesta parlamentari hanno acquisito materiali, documentazioni, testimonianze dalle quali si può arrivare alla verità, a tutta la verità. E, invece, non si è voluto farlo, addirittura si sono ignorati fatti, si sono occultati documenti, si sono dette bugie, si è depistato, non si sono fatti tutti gli accertamenti necessari.
L'ultimo esempio è riferito all'auto Toyota pick up che la commissione parlamentare d'inchiesta presieduta dall'avvocato Carlo Taormina ha fatto giungere dalla Somalia con la collaborazione di Giancarlo Marocchino e presentato come quella dell'agguato mortale. Le tracce di sangue rinvenute e appartenenti a una persona di sesso femminile non sono di Ilaria: è quanto emerso dall'analisi comparativa del DNA con quello di Giorgio e Luciana Alpi disposta dalla Procura di Roma (come richiesto dal giudice Cersosimo al 25° punto dell'ordinanza citata) e che la maggioranza della commissione non aveva voluto fare.
Questo risultato "incontestabile" demolisce le perizie compiute sulla Toyota e anche le conclusioni della maggioranza della commissione che su di esse erano in gran parte fondate.
Anche questo risultato conferma che il caso non è chiuso ma apertissimo e da ragione alle relazioni di minoranza che hanno considerato le conclusioni della maggioranza inaccettabili e gravi proponendo una verità (e non la verità) senza prove o peggio falsificandone la lettura, non esitando nemmeno ad offendere la memoria di Ilaria e Miran, la loro vita, la loro professionalità.
Nonostante ciò si sa ormai quasi tutto su quel che accadde in quei giorni a Mogadiscio, sul perché di quell'esecuzione, perfino su chi faceva parte del commando. Ma a chi ha armato quel gruppo di fuoco, ai mandanti, non si è ancora arrivati e gli esecutori sono ancora impuniti.
Perché alla verità non si è ancora arrivati?
Chi non vuole la verità?
Perché?
Luciana e Giorgio Alpi in questi 15 anni hanno lottato con tutte le loro energie per la verità e per la giustizia: 5479 giorni, spesso in solitudine, passati nel dolore e nell'impegno interpellando tutte le persone, le istituzioni che dovevano e potevano arrivare a mandanti ed esecutori e assicurarli alla giustizia. Hanno lottato e continuano a farlo. Li ringraziamo perché il loro esempio è stato per tutti noi il motore per lottare, per cercare la verità.