In Italia esiste un metodo usato ogni volta che un fatto non è del tutto chiarito: l'archiviazione.
Nelle ultime settimane si sono incrociate due notizie che apparentemente sono distanti, ma che sono invece accomunati dalla stessa voglia di non conoscere. Una peculiarità tutta nostra.
Il 19 luglio scorso ricorreva il quindicesimo anniversario della vile uccisione di Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta.
Pochi giorni prima della triste ricorrenza, Salvatore Borsellino, fratello del procuratore aggiunto, ha scritto una lettera aperta in cui poneva alcune domande non solo ai magistrati inquirenti, ma all'Italia intera.
Perché non è stata disposta la bonifica e la zona di rimozione per via D'Amelio nonostante le segnalazioni evidenti di pericolo per Borsellino?
Perché è stata archiviata l'indagine relativa alla pista di Castello Utveggio, località dalla quale partirono, subito dopo l'attentato, delle telefonate dal cellulare clonato di Borsellino a quello del funzionario del Sisde Contrada?
Ma soprattutto, perché è stata archiviata l'inchiesta relativa ai mandanti occulti della strage?
Tanti perché ai quali, probabilmente, nella migliore delle tradizioni tricolori non ci saranno risposte così come siamo ancora in attesa di risposte per la seconda notizia che si collega con la lettera di Borsellino: la richiesta di archiviazione per l'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, avvenuto a Mogadiscio, Somalia, il 20 marzo 1994.
Tredici anni e ancora non si è voluto mettere la parola fine su un'uccisione che ha assunto sempre più i tratti di una vera esecuzione.
Perché?
Un colpevole in questo caso è stato trovato: il miliziano somalo Hashi Omar Hassan è stato condannato a 26 anni di reclusione, ma chi ha voluto la fine dei due giornalisti? Cosa avevano scoperto la Alpi e Hrovatn durante le loro inchieste?
Si parlò di traffici illeciti di armi e di rifiuti, i politici si indignarono e promisero che sarebbe stata scoperta la verità.
Tredici anni e questa verità ancora non la si è voluta cercare: mimetizzata nelle pieghe insolute di un'uccisione che forse ha fatto comodo a tanti, ma che ha tolto la vita a due giornalisti, colpevoli solo di fare il loro mestiere. Esattamente come Borsellino. Tutti tre cercavano capire, di sapere. Tutti tre cercavano di raggiungere ciò che ora viene sepolto: la verità.
Per questo sono stati uccisi e il loro omicidio si ripete oggi, con le archiviazioni facili e la copertura dei mandanti.
Fabio Dalmasso