Dal Palazzo del Quirinale alla fine della scorsa settimana sono partiti centinaia di inviti per la celebrazione del Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi che si terrà questo sabato. In cima all'elenco c'erano i nomi dei familiari delle 16 persone che vennero uccise il 12 dicembre del 1969 dalla bomba alla Banca dell'Agricoltura di Milano: la strage di Piazza Fontana.
Quarant'anni dopo
Poi c'erano i nomi di due donne, due vedove, che fino ad oggi non si sono mai incontrate ma i cui destini si incrociano da quarant'anni: Licia Pinelli e Gemma Capra. La prima era la moglie del ferroviere Giuseppe Pinelli morto cadendo da una finestra della Questura di Milano tre giorni dopo la strage di quarant'anni fa, dopo essere stato ingiustamente sospettato di aver avuto responsabilità per la bomba. La seconda era sposata con il commissario Luigi Calabresi che, dopo essere stato accusato ingiustamente di aver buttato Pinelli dalla finestra del suo ufficio, venne ucciso sotto casa il 17 maggio del 1972. Gemma Capra è mia madre e scrivo di una storia che mi riguarda personalmente perché lunedì scorso ne ho discusso a lungo con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Sarebbe davvero importante, dal punto di vista simbolico, se fossero tutte e due a Roma sabato. Sarebbe un segnale - mi ha detto il Capo dello Stato - di pacificazione».
Dopo Aldo Moro
Dopo aver dedicato il Giorno della Memoria dello scorso anno al ricordo di Aldo Moro, Napolitano ha deciso che quest'anno è importante «mettere l'accento sul fenomeno dello stragismo e in particolare sulla Strage di Piazza Fontana perché il Paese non dimentichi» e perché il suo gesto sia, per quanto possibile, «di risarcimento a quanti in questi anni non sono riusciti ad ottenere giustizia». Il Presidente ha riflettuto a lungo nell'ultimo anno alla ricerca «di un approccio equilibrato e condivisibile» che tenesse conto delle inchieste della magistratura, del lavoro delle Commissioni Stragi che si sono succedute in Parlamento e degli studi storici. Al centro del discorso che pronuncerà sabato, spiega, c'è «la volontà di ricordare, di far sentire ai familiari delle vittime che la massima carica dello Stato si fa carico del loro dolore e delle loro aspettative, per superare una lacerazione e una sensazione di estraneità». Il Presidente riconoscerà che ci sono stati errori o omissioni, attività di depistaggio di una parte degli apparati dello Stato, e che se in alcuni casi non è stato possibile condannare mandanti ed esecutori, sono però emersi i contesti eversivi all'interno dei quali sono riconducibili le attività stragiste.
No alle strumentalizzazioni
Giorgio Napolitano ci tiene a sottolineare che le stragi, a partire da quella di Piazza Fontana, non possono essere usate né politicamente né storicamente come una giustificazione al terrorismo rosso. Secondo il Presidente «gli Anni di Piombo non possono essere considerati come una conseguenza della Strage del 1969». «La memoria deve essere riflessione - spiega - non può dividere, deve consentire a tutti di recuperare la consapevolezza della sfida che il terrorismo e le stragi portarono alla democrazia». Con questa premessa fondamentale ha deciso di dare voce, durante la cerimonia che si terrà al Quirinale, alla testimonianza di Francesca Dendena, presidente dell'Associazione Strage di Piazza Fontana, il cui padre Pietro, che allora aveva 45 anni, venne ucciso dalla bomba. E l'attore Luca Zingaretti leggerà dei brani tratti dagli scritti in cui Walter Tobagi, il giornalista del Corriere della Sera ucciso dai terroristi il 28 maggio del 1980, metteva a fuoco gli Anni di Piombo.
La sentenza D'Ambrosio
Ma tutto questo non sembrava ancora sufficiente, così Napolitano ha deciso che era giusto ricordare insieme alle vittime della Strage anche il ferroviere anarchico Pinelli, un cittadino innocente che morì durante le indagini. Il Presidente non vuole entrare nel merito della vicenda giudiziaria e delle cause della morte, come massima carica dello Stato spiega che si attiene alla sentenza del giudice Gerardo D'Ambrosio che negò sia l'omicidio sia il suicidio giungendo alla conclusione che la caduta dalla finestra di Pinelli fu causata da un malore. «E' importante riconoscere che Pinelli - sottolinea Napolitano - è una delle vittime di quei giorni, ricordare la sofferenza della moglie e delle figlie e cercare di chiudere un'epoca di contrapposizione. La sua figura deve essere ricordata da tutti e non più utilizzata per ridare fiato ad antiche contrapposizioni o a nuove lacerazioni».
«Il valore dell'invito alla vedova - ci ha tenuto a dirmi - è nel messaggio che si manda al Paese e nella capacità di includere. Se ci fosse anche sua madre allora potremmo dimostrare che c'è da parte di tutti uno sforzo per mettere il ricordo dei morti davanti alle polemiche e alle strumentalizzazioni». Mia madre ha accettato di esserci proprio per questa ragione, nella speranza che il dolore che accomuna la sua storia e quella di Licia Pinelli possa aiutare a superare le divisioni e sia d'esempio dello sforzo che la società dovrebbe fare per coltivare la memoria e non il rancore. Sul tavolo del Presidente, nello studio al Quirinale, c'è una cartellina che contiene l'elenco dei morti del 1969 ma anche quelli di cui cade il trentesimo anniversario, i caduti del 1979. Lo sfoglia con lo sgomento che si prova ogni volta che si torna a guardare dentro gli Anni di Piombo. Tra loro ci sono il macellaio di Mestre Lino Sabbadin e il gioielliere milanese Pierluigi Torreggiani, entrambi uccisi il 16 febbraio dai Proletari Armati per il Comunismo, e l'agente della Digos Andrea Campagna a cui spararono il 19 aprile. Per questi omicidi è stato condannato Cesare Battisti, a lungo latitante in Francia, che oggi è rinchiuso in un carcere brasiliano. Napolitano ricorderà il suo impegno per ottenere l'estradizione di Battisti ricollegandosi al presente: «Non sono accettabili rimozioni, negazioni o letture romantiche dei fatti di sangue di quegli anni, le responsabilità non possono essere dimenticate».