Ci ha pensato settimane. Si è confidata con le figlie e gli amici di sempre. Ne ha parlato con i compagni di un tempo che incontra ogni 15 dicembre, ogni anniversario della morte di suo marito Giuseppe "Pino" Pinelli, ferroviere e anarchico, volato dalla finestra al quarto piano della questura di Milano. Alla fine Licia Rognini vedova Pinelli, 82 anni e la forza di sempre, ha deciso di accogliere l'invito del presidente Giorgio Napolitano di andare sabato al Quirinale, alla cerimonia in ricordo di tutte le vittime del terrorismo e delle stragi: «Ci vado perché è un invito significativo. E' il riconoscimento che anche mio marito è stata una vittima. La diciassettesima vittima della strage di piazza Fontana. E ci vado perché stimo molto il presidente Napolitano».
Signora Licia Pinelli, l'ha sorpresa l'invito del presidente Giorgio Napolitano?
«Non me lo aspettavo. A marzo sono stata contattata dal Quirinale. Ci ho dovuto pensare per giorni prima di decidere se accettare o meno. Ne ho parlato prima di tutto con le ragazze, le mie figlie che oramai sono grandi. Non è stata certo una scelta facile».
Molti nell'invito del Presidente Napolitano vedono un gesto di vicinanza a tutte le vittime, un invito a non smettere di ricordare ma pure il tentativo di trovare una pacificazione dopo gli anni del terrorismo e delle stragi...
«Io non saprei dirlo cosa ha mosso il Presidente nel decidere per la prima volta di invitarmi a questa cerimonia... Forse è solo un riconoscimento che arriva quaranta anni dopo. Io cerco ancora la verità su quello che è successo quella sera in questura a mio marito».
Secondo l'allora giudice Gerardo D'Ambrosio, suo marito non venne ucciso né si suicidò. «Malore attivo» scrisse nella sentenza che non ha mai smesso di essere oggetto di polemiche.
«Quella sentenza non mi ha mai entusiasmato. Non spiega molte cose che sono successe quella sera in via Fatebenefratelli. Io spero che l'invito del presidente Napolitano possa essere ancora l'occasione per fare un passo avanti verso la giustizia e la verità».
Vorrebbe la riapertura del processo sulla morte di suo marito?
«Il fatto è questo. Se non ci sono elementi nuovi, non si possono riaprire le indagini. Io voglio che non venga persa la memoria di quello che è accaduto, al di là dei risultati di un processo. In tutti questi anni, se si esclude la medaglia d'oro che ho avuto dalla Provincia di Milano nel '75, le istituzioni non si sono mai fatte vive con me. Ho invece sempre avuto la solidarietà della gente, che si è manifestata molte volte e in molte occasioni».
Tre anni fa lei se la prese con Gabriele Albertini che cercò di sostituire la lapide in piazza Fontana, perché il sindaco voleva che venisse scritto «morto tragicamente» anziché «ucciso».
«Io a quella lapide che cercarono di rimuovere di notte, ci tengo molto. Non l'ho messa io, c'è la firma degli antifascisti, esattamente c'è scritto che è stata messa dagli «studenti e democratici milanesi», ma ci tengo per quello che rappresenta, al di là delle ipocrisie di chi ha cercato di toglierla di mezzo. Per questo allora scrissi al sindaco».
Sabato prossimo al Quirinale, tra i famigliari di tutte le vittime delle stragi e del terrorismo, lei incontrerà anche la vedova del commissario Calabresi. Cosa vorrebbe dirle?
«Non so dire adesso cosa potrei dirle. Non sono cose che si possono decidere in anticipo. Vedrò lì al momento, vedrò quando mi trovo lì con le mie figlie... Magari le dirò anche niente. Ma io non ho problemi perché a quella cerimonia ci sarà la vedova del commissario Calabresi».
Le basta poter ringraziare il Presidente Napolitano che l'ha invitata alla cerimonia?
«A parte quella medaglia d'oro della Provincia di Milano di tanti anni fa, è la prima volta che le istituzioni si fanno vive con me. Sono passati quaranta anni, non me lo aspettavo più e anche per questo essersi ricordato di me, stimo molto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Trovo che con questo invito, anche se sono passati quaranta anni, il Presidente ha voluto fare un passo in avanti verso la giustizia e la verità».