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La vedova Pinelli e l'invito di Napolitano: "Ora sulle stragi lo Stato apra i suoi armadi"
Piero Colaprico
Fonte: Corriere della Sera, 8 maggio 2009
8 maggio 2009

Licia Pinelli, 82 anni, non fa le valigie: "Partiamo al mattino, torniamo la sera, un sabato romano".

Signora, ma lei come vive questa cerimonia voluta per domani dal presidente Napolitano?

"Con molta ansia, diciamo così. Forse un tempo ero ansiosa di temperamento, poi, sa, molte cose che si vivono non si mostrano esternamente. Internamente però lavorano, sono ansiosa, sì".

Lei ha detto che essere invitata può essere anche un passettino in direzione della verità. Quale verità?

"Vogliamo la verità per stragi. Non chiedo solo per me".

Lei ha un'idea?

"Un'idea me la sono fatta, ma ci vogliono le prove per dirla in pubblico. Lo Stato, se vuole, potrebbe fare un passettino in più. Sinora non ha messo a disposizione i suoi archivi, i suoi armadi con i fascicoli. Ma sono passati quarant'anni, il mondo è cambiato tantissimo, perciò dopo tante sofferenze, lo facciano. Mi piacerebbe un passo concreto, vero, logico e naturale, e cioè che cadesse ogni segreto sulla strage di piazza Fontana".

E dintorni...

"Sì, certo, e dintorni".

Ci sarà la vedova del commissario Luigi Calabresi, responsabile dell'ufficio che condusse l'interrogatorio. Ieri la signora Gemma le ha teso la mano, dicendo che la sofferenza vi accomuna. Lei deciderà davvero al momento che cosa dirle? Ci avrà pensato...

"È così, ma non è che ne parlo prima. Ho sempre pensato alla vedova Calabresi, specialmente dopo ... la cosa".

Dopo che nel '72 le uccisero il marito? Che cosa pensava?

"Dentro di me sentivo di volerla incontrare, di poterla aiutare. Poi, e me ne dispiace, non l'ho fatto".

Perché?

"Allora c'era tutto l'insieme a rendere difficile che ci si potesse incontrare. Poi ognuno ha la sua vita, insomma è andata così, però avrei voluto. Era anche incinta, ho pensato molto alla sua sofferenza, non solo alla mia".

Ad ascoltare alcuni commenti dei parenti di altre vittime del terrorismo, che non la vogliono nella Giornata della memoria, sembra che lei vada là con un sentimento di rivalsa. Una lettura sbagliata?

"In me non esiste alcuna rivalsa. Ho sempre e solo chiesto la verità. Ho fatto azioni giudiziarie, ma non sono soddisfatta dell'esito delle inchieste. Continuo a credere e a muovermi nello stato di diritto, per quanto possa essere a volte difficile".

Le sue figlie, ragazzine quando il papà entrò vivo in questura e ne uscì morente, dopo essere precipitato dalla finestra della stanza dell'interrogatorio, hanno loro magari un senso di rivalsa?

"Per niente, sono come me. Quando mi è arrivato l'invito dal Quirinale ho voluto sentire il loro parere, come sempre. E sa che cosa mi hanno detto: "Vai, mamma". Però una figlia viene con me, con il marito. La nostra, quella di tutta la famiglia Pinelli, è una partecipazione sentita".

In nome di cosa o di chi?

"Del presidente Napolitano. Appena ho sentito dell'invito, ho pensato a quanto sia stato coraggioso, a invitarci, e anche onesto, ecco".

Pietro Valpreda era sempre pieno di amici e conoscenti che si fermavano a chiacchierare. Il popolo delle case di ringhiera non ha mai creduto alla sua colpevolezza, e lo stesso era per suo marito...

"La gente comune lo sapeva sì che gli anarchici non c'entrano, mio marito poi, davvero, hanno smesso subito di tirarlo dentro. Il questore ritrattò la prima versione, in cui sembrava che fosse implicato".

Dissero che s'era buttato giù gridando qualche cosa come "è la fine dell'anarchia"...

"Lasciamo perdere, per favore, Pino era un galantuomo, come hanno riconosciuto anche loro, non implicato in niente di criminale. Sa, in quarant'anni ne succedono di cose, ognuno di noi sa se s'è comportato bene o male. Chissà, qualcuno che forse sa qualche cosa può oggi trovare la forza di farcela sapere".

Lei non ha perso la speranza di riaprire "quella porta"?

"Se non ci sono prove nuove, non si può riaprire. Mi piacerebbe, ripeto, che i politici dessero l'ordine di spalancare gli armadi sul passato e lasciar riposare in pace i nostri cari".

Lei si sente anarchica com'era suo marito Pino?

"Non ho etichette, faccio ciò che mi sento di fare, cercando di non dare fastidio a nessuno. Sulla fede di mio marito non ho alcun dubbio, era anarchico sin da ragazzo. Si può amare molto un anarchico come lui".

Dietro la porta della signora Licia si comprende che non c'è rancore. Un coniglio e un gatto passano vicino al telefono, lei li saluta: sembra in pace, ma è evidente che sino all'ultimo respiro vorrà vedere, nel buio pesto delle tante, troppe notti italiane, una luce, quella della verità. E ci crede davvero.