Un giorno, Gemma Capra, da sempre a conoscenza che il marito, il commissario Luigi Calabresi, possedeva una piccola pistola automatica, una Beretta 6.35, non vedendola più nel cassetto del comò di casa gli chiese: "Dov'è finita la pistola?".
Le rispose che l'aveva in ufficio. "Perché non la tieni indosso come i tuoi colleghi?", gli domandò.
"No, non la porto perché non avranno mai il coraggio di spararmi guardandomi negli occhi. Se mai decidessero di spararmi lo faranno alle spalle. E allora, avere una pistola non mi servirebbe a niente".
Il 17 maggio 1972 verso le nove del mattino, a Milano, in Via Cherubini, venne ucciso con due colpi di pistola sparati alle spalle.
Un giorno, Licia Rognini, moglie dell'ex partigiano anarchico, il ferroviere Giuseppe Pinelli, non vedendolo rientrare a casa e facendosi notte, telefonò in questura al commissario Calabresi per chiedere del marito e questi rispose: "Signora, abbiamo molto da fare".
Pinelli fu trattenuto illegalmente, in questura, per tre giorni, calpestando la Costituzione. Ne uscì da una finestra del quarto piano.
Pochi mesi prima Giuseppe Pinelli aveva detto alla moglie: "C'è un giovane alla questura, è intelligente, ci si può parlare".
Lo stesso commissario aveva regalato, a Natale, all'anarchico milanese, un libro di Enrico Emanuelli dal titolo "Mille milioni di uomini". Il "Pino" aveva ricambiato la cortesia con una copia dell'Antologia di Spoon River , il libro che amava di più.
Queste due donne, da oltre trent'anni ricercano la verità, nessun contatto tra loro, nessuno scambio di libri... purtroppo.
Eppure sono state derubate non solo dei rispettivi compagni, dei padri dei loro figli, ma anche della possibilità di giungere alla verità. Dopo l'enorme mobilitazione popolare, ed una campagna di stampa tra le più accese che la storia repubblicana ricordi, si ottenne l'apertura del processo, e molti in Italia, soprattutto nella sinistra, temettero per la vita di Calabresi. Lui era senz'altro, per il ruolo istituzionale che ricopriva, uno dei depositari della verità.
Non a caso Licia Pinelli, in merito alla barbara uccisione di Calabresi, dichiarò di essersi "sentita derubata" (...) "passato lo sgomento e la paura, ho capito che non avrei avuto più la verità che stavo cercando".
Agli amici e compagni più intimi di Pino Pinelli rimase il compito di rinnovare il ricordo e ribadire, con coerenza, per oltre trent'anni, la versione dei fatti. Furono 588, tra anarchici e extraparlamentari di sinistra, i "fermati" nella notte tra il 12 ed il 13 dicembre 1969. Per ultimo, in attesa di essere interrogato dopo Pinelli, l'unico testimone di quei tragici momenti in questura, l'anarchico di origini calabresi Pasquale Valitutti è ancora in vita, anche se gravemente malato.
In merito ad un'intervista al giudice D'Ambrosio che lo chiama in causa ha dichiarato, in una lettera scritta all'allora direttore del quotidiano "Liberazione", Sandro Curzi, pubblicata in data 17 Maggio 2002: " Caro Direttore, leggo su "Sette", settimanale del "Corriere della Sera" in edicola oggi, un servizio che rievoca la vicenda Calabresi a trent'anni dall'omicidio del commissario, con un'intervista al procuratore di Milano Gerardo D'Ambrosio che mi chiama personalmente in causa. Gerardo D'Ambrosio da una domanda del giornalista risponde testualmente: "poi, ottenni un'altra prova sull'innocenza di Calabresi". Quale? domanda il giornalista. "La testimonianza di uno degli anarchici fermati, Pasquale Valitutti: aveva visto Calabresi uscire dalla stanza prima che Pinelli cadesse".
Vedo , ancora una volta, distorta la verità.
Io sono l'anarchico Pasquale Valitutti e ho sempre sostenuto il contrario. Lo ripeto a lei oggi: Calabresi era nella stanza al momento della caduta di Pinelli. Se tutto è ormai chiaro, come dicono, perché continuare a mentire in questo modo vergognoso sulla mia testimonianza? Io sono ormai stanco, malato e fuori da qualsiasi gioco. Ma alla verità non sono disposto a rinunciare".
Dello stesso tenore la replica di Adriano Sofri sul Foglio, nel Maggio 2002.
"Io nelle carte trovai che Valitutti aveva testimoniato esattamente il contrario: che si trovava nel corridoio in una posizione dalla quale poteva vedere la porta della stanza, che non aveva visto uscire Calabresi dalla stanza, e che pensava che l'avrebbe senz'altro notato".
Più recentemente, il 18 marzo 2004, nel corso dell'iniziativa "verità e giustizia" promossa dal circolo anarchico milanese "Ponte della Ghisolfa" e dal Centro Sociale Leoncavallo, "Lello" Valitutti alla presenza di Licia Pinelli e di centinaia di partecipanti ha ricordato con un discorso di una lucidità impressionante, considerato che sono passati oltre trent'anni, lo svolgimento dei fatti ed in particolare gli ultimi momenti dell'interrogatorio di Pino Pinelli, il trambusto, i rumori, la rissa, le voci concitate e poi, dopo una ventina di minuti, un rumore sordo, muto, cupo.
In quei giorni alcuni diritti democratici furono di fatto sospesi. I "fermati" vennero trattenuti oltre i termini di legge, nessun magistrato venne avvertito del fermo entro le 48 ore.
Alla famiglia Pinelli ed ai suoi legali e periti non fu permesso di assistere all'autopsia. Bruno Vespa in una trasmissione televisiva ricordando le vittime del terrorismo dimenticò di citare Pinelli, ed Adriano Sofri lo fece rilevare immediatamente, come sottolineò con altrettanta chiarezza che in tutti questi anni mai nessuna autorità dello Stato si è premurata di bussare alla porta della famiglia Pinelli per chiedere a Licia ed alle due bambine Silvia e Claudia: come va?
Le Poste Italiane, dimentiche anch'esse, hanno dedicato, di recente, a Luigi Calabresi un francobollo commemorativo. E' nato subito dopo un francobollo, il "Pinelli Rosa" (A rivista anarchica - n. 309 -giugno 2005), al posto del normale bianco e nero un'inspiegabile sfumatura rosa.
Ironicamenete gli autori parlano di errore, dello stesso errore che conferì al "Gronchi Rosa" un importante valore filatelico essendo il più celebre e prezioso francobollo "sbagliato".
Su una cosa è possibile essere tutti d'accordo, le esistenze di Pinelli, Calabresi , Sofri, Bompressi, Pietrostefani, Marino concorrono, da punti di vista diversi, alla medesima considerazione finale, sono la dimostrazione del fallimento della giustizia. Che esista anche in Italia una specie di Area 51? Inaccessibile, superprotetta, che non celi verdognoli corpi alieni, ma custodisca tutti i misteri di questo ben povero paese, non ultimo il sasso sulla fronte che ha vilipeso il corpo senza vita di Carlo Giuliani?
Se si rimuovesse il segreto di Stato sulle stragi che cosa verrebbe rivelato ai cittadini italiani? Certamente qualcosa di essenziale per la loro esistenza.
Pier Paolo Pasolini in "Lettere Luterane" scriveva : "Fin che non si sapranno tutte queste cose insieme - e la logica che le connette e le lega in un tutto unico non sarà lasciata alla sola fantasia dei moralisti- la coscienza politica degli italiani non potrà produrre nuova coscienza. Cioè l'Italia non potrà essere governata".