Il 9 maggio 1978 l'Italia è scossa da uno degli eventi più drammatici della sua storia repubblicana. Il corpo dell'On. Aldo Moro (personaggio a dir poco centrale della politica italiana, a quell'epoca Presidente della D.C.) viene ritrovato a Roma in via Caetani, ucciso dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia.
Di fronte ad una notizia così eclatante ogni altro avvenimento passa in secondo piano. Ed è così che pochi si accorgono della morte di un giovane (trent'anni all'epoca), i cui poveri resti sono trovati, nella notte fra l'8 e il 9 maggio, straziati da una carica di tritolo posta sui binari della ferrovia Palermo-Trapani.
Quel giovane era Giuseppe "Peppino" Impastato, nato a Cinisi il 5 gennaio 1948, figura "scomoda" del panorama politico di Cinisi (provincia di Palermo), da anni impegnato in prima linea nella lotta contro gli abusi e le speculazioni di stampo mafioso che inquinavano la vita del suo paese.
In un primo tempo le indagini si indirizzarono verso un attentato terroristico mal riuscito o verso un suicidio "esibizionista". Solo con il duro impegno del fratello Giovanni e della madre Felicia, dei compagni di Radio Aut, e del Centro Siciliano di Documentazione (che successivamente venne intitolato proprio a Peppino Impastato) si arrivò lentamente e con molti, troppi anni di ritardo alla verità. Peppino fu ucciso dalla mafia, che ormai trovava intollerabili gli attacchi che quel ragazzo portava all'organizzazione (che proprio in quegli anni cercava di ampliare i propri traffici, adattandoli ad una realtà che andava mutando anche in Sicilia, abbandonando un modello economico prettamente rurale) e che probabilmente riteneva inaccettabile che Peppino venisse eletto nel Consiglio Comunale di Cinisi nelle imminenti elezioni amministrative (il 14 maggio Peppino venne simbolicamente eletto con 264 voti di preferenza, ed a Cinisi Democrazia Proletaria, nella cui lista si era presentato, raggiunse il 6% dei voti).
Salvo Vitale (uno degli amici più fedeli di Peppino, nonché suo compagno nelle esperienze comunicative di lotta, dalla diffusione dei volantini ai comizi, dalla costituzione del "Circolo musica e cultura" al giornale "L'idea") ha scritto sul sito di Radio Aut: "Il fatto che della sua testa non siano state trovate briciole, lascia pensare che gli abbiano anche ficcato un candelotto di dinamite in bocca, per dire che aveva parlato troppo". Io non ho le conoscenze per "leggere" i segnali mafiosi, ma penso che nella particolare brutalità dell'omicidio di Peppino concorressero anche altri fattori, oltre a quello giustamente indicato da Salvo. Per gli "esterni" la messa in scena serviva sicuramente a depistare l'omicidio in favore delle summenzionate ipotesi di attentato/suicidio. Per quelli che seppero capire da subito la matrice mafiosa dell'omicidio, quel gesto doveva essere anche un invito al silenzio, ma pure un monito: Peppino doveva essere non solo ucciso, non solo brutalizzato, ma ANCHE cancellato dalla faccia della terra. Persino le tracce della sua esistenza fisica dovevano essere cancellate. Per fortuna così non avvenne, e anche questo articolo vuole contribuire a mantenere viva la sua memoria.
La figura di Peppino Impastato
Impegnato in prima linea, ho detto in precedenza; ma va precisato che l'impegno di Peppino era, per l'epoca, qualcosa di totalmente nuovo, per come sapeva coniugare la propria dimensione personale con quella politica. Fisicamente minuto, ma dotato di enorme energia e di incredibile vivacità intellettuale, probabilmente nella sua formazione ideologica entrò in gioco un complesso conflitto emotivo: la sua ribellione era assieme politica, generazionale e familiare. Il padre Luigi (figura sofferta, tratteggiata con grande abilità da Marco Tullio Giordana nel film "I Cento Passi"; implicato nell'ambiente mafioso di Cinisi, cercò a suo modo, fino a quando restò in vita, di difendere il figlio dalle ritorsioni mafiose) era stato amico di Gaetano Badalamenti, e una sorella di Luigi aveva sposato Cesare Manzella, boss ucciso nel 1963; e più in generale tutta la famiglia Impastato aveva nel proprio DNA pesanti influenze mafiose. Ma la storia di Peppino è tanto più importante proprio per questo: è la storia di un uomo che ha saputo sfidare la mafia cominciando da quella che aveva in casa propria.
La rottura ideologica col padre avvenne quando Peppino era ancora un ragazzo, e già dal 1968 partecipò attivamente alle iniziative della sinistra alternativa dell'epoca. Aderì alle lotte dei contadini che subirono l'esproprio delle terre per la costruzione della terza pista dell'aeroporto, costituì il gruppo "Musica e Cultura" (1975), e nel 1976 fondò "Radio Aut" (interessante esperimento di radio libera, abbastanza in voga all'epoca, in cui si coniugava l'esigenza di "rottura" culturale con la ricerca di un nuovo - per l'epoca - veicolo per l'impegno politico). Poi l'attività con Lotta Continua e, come detto, con Democrazia Proletaria.
Restando a Radio Aut, uno dei programmi di più grande successo (e che causava maggiore "fastidio" negli ambienti mafiosi di Cinisi) era "Onda Pazza", una sorta di "striscia" settimanale satirica in cui Peppino ed i suoi amici immergevano la realtà di Cinisi in un ambiente che sfiorava l'assurdo ma in cui erano comunque ben percepibili, per chi li conosceva, nomi e fatti; così Gaetano Badalamenti diventava Tano Seduto ed il Sindaco Gero di Stefano diveniva Geronimo Stefanini, grandi capi di "Mafiopoli" (Cinisi, ovviamente). Uno dei momenti più belli ed intensi de "I Cento Passi" riprende Peppino che, per lanciare i suoi strali sui "potenti" di Cinisi, adatta liberamente brani dell'Inferno di Dante, mentre il regista ci mostra i diversi atteggiamenti del pubblico di "Onda Pazza": da un lato la gente divertita che si accalca nei bar attorno ad una radiolina, dall'altro lato i boss del paese mentre ascoltano con uguale attenzione, ma con ben diverso spirito, preoccupati da una voce che deve essere fermata...
Consultando il sito di Radio Aut ho scoperto che la parodia ispirata all'Inferno Dantesco fu trasmessa il 3 marzo 1978. Da quella data, e fino alla sua morte, le trasmissioni di "Onda Pazza" furono una progressione impressionante di Peppino, che demoliva con una risata (come voleva un vecchio slogan un tempo patrimonio storico della sinistra) speculatori, amministratori pubblici e figure "altolocate" di Cinisi, senza risparmiare nessuno, con la sola arma della lucida ironia (una "arma" che Peppino fu il primo ad usare verso la mafia).
La figura di Peppino Impastato appare incredibilmente attuale oggi, a venticinque anni dalla morte. In un periodo in cui tutto era "politico" Peppino sapeva coniugare l'impegno politico-sociale ad una tensione morale verso la costruzione di un "mondo nuovo", di un "uomo nuovo", di un "nuovo modo" di vivere e di intendere l'impegno. Ed in questo le sue istanze (al tempo stesso politiche e trascendenti la politica) mi paiono accostabili a quelle dell'attuale Movimento e la sua figura può essere considerata quella di un precursore di certe forme di lotta e di protesta.
Le indagini
Come detto in precedenza, le indagini sulla morte di Peppino furono all'inizio inquinate dal chiaro tentativo di non voler riconoscere la matrice mafiosa dell'omicidio. Nel 1984, grazie al lavoro del Consigliere Istruttore Rocco Chinnici (ucciso nel luglio 1983) il Giudice Antonino Caponnetto riconobbe l'origine mafiosa dell'omicidio, ma non riuscì ad accertare colpevoli materiali o mandanti, attribuendo il gesto ad ignoti.
Nel 1994 il Centro Impastato chiese ed ottenne la riapertura dell'inchiesta. Questa istanza venne supportata anche da un esposto della madre e del fratello di Peppino, Felicia Bartolotto e Giovanni Impastato (in cui si chiese di indagare anche sull'atteggiamento tenuto dai carabinieri nell'immediatezza dei fatti), oltre che da una petizione popolare.
E' una storia tipicamente italiana, quella del processo-Impastato, fatta di silenzi colpevoli e depistaggi, ma perlomeno una storia in cui i familiari e gli amici della vittima hanno potuto ottenere soddisfazione: l'11 aprile 2002 è stato condannato all'ergastolo il boss mafioso Gaetano Badalamenti quale mandante dell'omicidio. In precedenza era stato condannato, sempre come mandante, Vito Palazzolo (scomparso nel 2002). E in occasione di queste sentenze la famiglia Impastato ha avuto anche il tardivo riconoscimento "ufficiale" di quanto le prime indagini fossero state inquinate. Il giudice a latere Angelo Pellino infatti scrisse, nella sentenza di condanna a Vito Palazzolo, che sulle indagini "grava l'intollerabile sospetto di un sistematico depistaggio o comunque una conduzione delle stesse viziata da uno sconcertante coacervo di omissioni, negligenze, ritardi mescolati ad opzioni investigative preconcette che ne avrebbero alterato la direzione e lo sviluppo".
Ma se è vero che gli anni hanno portato qualche tardiva soddisfazione, è pure vero che alla famiglia Impastato non sono state risparmiate nuove amarezze. Come quando l'Amministrazione Comunale di Isnello (provincia di Palermo) fece togliere il cippo commemorativo dalla piazza intitolata a Peppino, posto nel 1998 (quella volta per protestare si mossero diversi intellettuali italiani, nonché diversi familiari di vittime per mano mafiosa; ne cito alcuni in ordine sparso: Rita Borsellino, Marta Fiore Borsellino, Nando Dalla Chiesa, Pina Maisano Grassi, Dario Fo e Franca Rame, Andrea Camilleri, Gillo Pontecorvo, Ettore Scola... e mi scuso con i tanti che ho omesso di citare). Oppure quando durante il recente processo a carico di Badalamenti e Palazzolo per l'omicidio di Peppino il collegio difensivo rispolverò la teoria dell'attentato terroristico quale causa della morte...
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Intervista a GIOVANNI IMPASTATO
"bisogna presidiare la nostra democrazia"
17 aprile 2003
Nel mio articolo parlo di Peppino come di un "precursore" del Movimento di oggi. O, per meglio dire, di un elemento che seppe anticipare i tempi, riuscendo a "fare politica" coniugando l'impegno con la dimensione personale, la lotta antimafia con istanze che andavano dal politico all'ecologico. Come pensi che lui, che visse in prima persona le stagioni del '68 e del '77, vedrebbe il Movimento attuale. E come lo vedi tu?
GIOVANNI IMPASTATO:
Su questo non ci sono dubbi: sono convinto che lui in questo momento sarebbe impegnato con tutti noi, nel Movimento Pacifista come in quello "no-global" in generale. E sono convinto che, con la sua capacità di analisi, la sua sensibilità e la sua intelligenza ci avrebbe spinto ad una riflessione importante, che è quella di portare gli obbiettivi di questo movimento ANCHE in direzione antimafia. Perché sono convinto che la mafia è parte integrante di QUESTA globalizzazione.
Da parte dell'attuale Movimento non c'è ancora questa sensibilità. Si lotta contro le ingiustizie che ci sono nel mondo, gli squilibri sociali e territoriali di un mondo in cui il 20 % della popolazione si appropria dell'80% delle risorse del pianeta, e questo è giustissimo. Mi sembra che quello attuale sia un Movimento che ha le idee chiarissime su questi punti; ma la mafia, ripeto, è parte integrante di questo processo di globalizzazione selvaggia. La mafia viene considerata una prerogativa nostra, limitata, "territoriale". Io sono sicuro che Peppino avrebbe saputo attualizzare sempre di più il suo impegno, coniugando le istanze del nuovo Movimento con quelle antimafia, perché lui aveva questa sensibilità particolare, questa capacità di "guardare avanti".
Mi piace che tu dica che Peppino ha anticipato i tempi, credo sia una definizione giustissima. Ma ti dico di più: noi l'abbiamo considerato l'erede di quel Movimento contadino degli anni 40 che portava avanti la battaglia per la legalità. Quel Movimento contadino che fu sconfitto dalla Mafia e brutalmente represso dallo Stato (credo che la strage di Portella delle Ginestre possa essere considerata la prima "strage di Stato"). Ecco, credo che Peppino fosse l'erede di quel Movimento, e contemporaneamente un pioniere di nuovi sistemi di lotta. Ha lottato assieme ai contadini di Punta Raisi contro l'esproprio per la costruzione della famosa terza pista dell'aeroporto, e nello stesso tempo ha avviato una nuova stagione di lotta, con metodi per l'epoca nuovi come il giornale "l'idea socialista", le mostre fotografiche, il Circolo "Musica e Cultura", Radio Aut... Tutte cose all'avanguardia, in quegli anni.
"I cento passi" è un film bellissimo che descrive tutta la storia umana di Peppino. Ma leggendo i documenti, ho scoperto un'altra storia, altrettanto bella ed emblematica, che il film (fermandosi ai funerali di Peppino) non poteva rappresentare: la tua storia e quella della tua famiglia in generale. Questo perché mi sembra che quel tragico 9 maggio abbia segnato anche la rottura definitiva della tua famiglia con quell'ambiente che aveva avvelenato la vostra esistenza. Rifuggendo l'ottica della vendetta personale e preferendo la strada della ricerca della Verità e di una corretta memoria, mi sembra abbiate segnato uno "stacco" importante per quella che è la cultura tradizionale siciliana.
Viene istintivo, per me che ho vissuto solo da lontano la realtà di Cinisi e della Sicilia in generale, chiederti qualcosa di più su questa "rottura".
GIOVANNI IMPASTATO:
Guarda, hai ragione quando dici che quel giorno è iniziata un'altra storia. Perché noi non abbiamo fatto altro che raccogliere l'eredità di Peppino (e in quel contesto non era facile, t'assicuro) e continuare la rottura che lui aveva operato già negli anni '60. E' stato difficile... Quando è toccato a me lottare contro la mafia mi sono accorto che lottare contro la mafia è come lottare contro te stesso, contro un modo di pensare, di vivere... Contro una "forma mentis" che è nostra, perché la cultura mafiosa è profondamente radicata dentro di noi. Quando dico questo ovviamente non voglio certo intendere che "siamo tutti mafiosi", per carità. Intendo dire che quando io cominciai la mia lotta sentii una profonda lacerazione. La nostra rottura (mia e della mia famiglia) non è stata una negazione di affetto nei confronti di nostro padre, per esempio, ma un modo di negare decisamente quella che era stata la sua scelta, che era fatta di schiavitù e di asservimento alla mafia. La nostra fu una scelta di democrazia e di civiltà, ma anche e soprattutto la scelta di uomini liberi, che non volevano più essere asserviti.
Anche mio padre a suo modo (ossia da "uomo d'onore") la sua rottura l'aveva tentata. Quella che vedi nel film "I cento passi" è storia reale: quando vide Peppino in pericolo fece questo viaggio negli Stati Uniti per cercare protezione per il figlio; e alla cugina americana che gli dice "ma sta succedendo qualcosa a Peppino?" risponde "prima di ammazzare Peppino devono ammazzare me". E infatti prima ammazzarono lui... Questo significa rompere con la mafia...
Quello che voglio dirti è che la nostra famiglia ha fatto questo lungo percorso, difficile e pieno di insidie, e che lo abbiamo pagato a caro prezzo. E mi sento di dire pure che non siamo stati ripagati abbastanza. Perché quelli che maggiormente avrebbero dovuto aiutarci si schierarono letteralmente dalla parte opposta. E non sto parlando "della gente", ma delle Istituzioni; degli inquinamenti, dei depistaggi che accompagnarono DA SUBITO le indagini, inquinandole per anni ed indirizzandole verso l'ipotesi dell'attentato; e questo perché in quel momento "serviva" un terrorista. E non fu un abbaglio o un peccato di leggerezza: fu un depistaggio sistematico, scientifico, che aveva un fine preciso: dopo averlo ucciso, Peppino andava anche rimosso; la cultura di regime voleva che la sua figura venisse dimenticata. Ci hanno provato in tutti i modi, ma non ci sono riusciti... Insomma, non abbiamo avuto come nemico solo la mafia, ma pure le Istituzioni.
Io condividevo le idee di mio fratello già prima del suo omicidio; facevo parte del suo gruppo, partecipavo alle sue iniziative, ma non avevo il suo coraggio, né il suo carisma, forse anche perché ero di qualche anno più giovane. Quelle scene che hai visto nel film, quelle dove io e lui litighiamo furiosamente, sono verissime, ti assicuro. Io gli volevo molto bene, ma c'era fra noi questo rapporto conflittuale, dovuto principalmente al fatto che mi accorgevo che lui si stava mettendo in gioco "troppo" e stava assumendo rischi enormi. Non è che lui non lo capisse, ma io, da fratello minore, sentivo enormemente la paura per i rischi che stava correndo.
C'è una domanda che mi hai fatto venire in mente con il discorso che hai fatto su tuo padre. Marco Tullio Giordana nel film "sfuma" l'episodio della sua morte, lo fa passare come un "dubbio incidente". Tu affermi "l'hanno ammazzato". La vostra è una convinzione che avete maturato nel tempo o l'avete sentita già nell'immediatezza della morte di tuo padre?
GIOVANNI IMPASTATO:
Peppino era l'unico che era convinto che nostro padre fosse stato ammazzato. Noi no, è una convinzione che abbiamo maturato col tempo. Tieni conto che molti fatti riguardanti mio padre sono emersi successivamente. Noi, per esempio, in quel momento non sapevamo del famoso viaggio in America, quello dove cercò di intercedere per Peppino. Non sapevamo che già in quel momento Badalamenti aveva decretato la morte di Peppino.
Molte cose sono venute a galla piano piano, grazie alle testimonianze dei pentiti (che hanno avuto riscontri precisi), alle indagini, alla nostra collaborazione. Fu così che siamo riusciti a ricostruire il mosaico che portò e seguì il viaggio negli Stati Uniti di nostro padre.
Ma all'epoca del film non c'erano ancora le sentenze a carico di Badalamenti e Palazzolo per l'omicidio di Peppino. E' per questo che il regista ha giustamente sfumato la vicenda di mio padre; dire certe cose in modo più esplicito poteva mettere a repentaglio la realizzazione stessa del film.
Come hai reagito (e con te la tua famiglia ed i compagni di Peppino) alle provocazioni che recentemente sono state portate verso la memoria di tuo fratello? Alludo ai due episodi di cui ho parlato nel mio articolo, ossia quando l'Amministrazione Comunale di Isnello ha fatto togliere il cippo commemorativo dalla piazza intitolata a Peppino, oppure quando durante il processo a carico dei mandanti dell'omicidio il collegio difensivo ha rispolverato la teoria dell'attentato terroristico, dipingendo per di più Peppino come un "poco di buono"...
GIOVANNI IMPASTATO:
Dobbiamo tornare al discorso di prima, ai depistaggi, agli insabbiamenti: la strategia che ha portato alla rimozione del cippo in fondo era la stessa: questa figura doveva essere cancellata dal panorama politico-culturale della nostra terra (e non solo...). Abbiamo dovuto affrontare 25 anni di lotta per mantenere viva questa figura "scomoda". Il film ci ha consentito di far conoscere Peppino ad un pubblico più vasto; prima era un patrimonio solo "nostro", con "I cento passi" è diventato di tutti. Ma anche il film, forse, non ci sarebbe stato se non fosse per le molte persone che già da prima hanno cercato ci mantenere viva questa figura.
Poco fa ti parlavo di "cultura di regime", che ha cercato di infangare e rimuovere la memoria di Peppino. Isnello è un esempio di quella cultura: non ci fu solo la rimozione del cippo, ma pure il tentativo di rinominare la Piazza che gli era intestata. E' stata una battaglia che in un certo senso abbiamo vinto (alla fine il cippo fu rimosso, ma la piazza è ancora intitolata a Peppino), ma c'è voluta una grande lotta civile.
Vedi, io voglio dirti questo: bisogna presidiare la nostra democrazia. Il nostro è stato un lungo presidio. Che è poi quello che fate voi con le vostre iniziative, quello che faremo noi nella tre giorni dedicata a Peppino il 9, 10 e 11 maggio prossimi. Dobbiamo presidiare i "luoghi della memoria", perché difendere quei luoghi vuol dire difendere la democrazia, mantenere i valori della resistenza antifascista, che sono le basi della nostra repubblica, e che molti tentano di cancellare. Ho già parlato più volte del tentativo di rimuovere la figura di Peppino, ma qui si vuole cancellare anche la Resistenza antifascista come valore umano, come insegnamento civile, come espressione di civiltà.
Credo che a te che sei figlio di un partigiano facciano piacere queste mie parole, ma dovrebbe essere chiaro per tutti che dobbiamo difendere la nostra democrazia, ANCHE difendendo la nostra storia. E' difficile ma lo dobbiamo fare. Lo dobbiamo ai nostri figli, per consentirgli di vivere in un mondo più pulito e più civile. Proprio come chi ha fatto la resistenza antifascista l'ha concesso a noi.
Vorrei che fossi tu a parlare brevemente delle iniziative che avete in programma per ricordare Peppino a 25 anni dalla sua morte.
GIOVANNI IMPASTATO:
Quando m'hai telefonato ieri sera ero proprio ad una riunione in cui abbiamo definito un po' il tutto. Come ti dicevo saranno tre giorni intensi: 9, 10, 11 maggio.
Il primo giorno faremo uno di quei "presidi ai luoghi della memoria" di cui parlavamo: metteremo una lapide dove Peppino è stato ucciso, una alla sede di Radio Aut (che per l'occasione riaprirà grazie ad un permesso speciale, proprio in quei tre giorni; ma c'è anche l'intenzione, anche se ancora non ben definita, di riaprirla definitivamente), e una al Cimitero. Ci sarà la presentazione del volume realizzato dagli studenti delle scuole di Cinisi su Peppino; poi nel pomeriggio un forum tematico sull'antimafia, e la sera una fiaccolata da Radio Aut alla piazza di Cinisi.
Il 10 maggio avremo una serie di forum tematici (forum delle donne, forum dei teatri, forum sull'anti-fascismo, forum sull'informazione indipendente, ecc.) ed il concerto del collettivo musicale intitolato a Peppino.
Domenica 11 avremo uno spettacolo teatrale, un recital di poesie, ed un altro concerto con nuovi gruppi emergenti... E sicuramente qualcosa ho dimenticato, di questi tre giorni!
Ma una cosa è sicura: faremo teatro, concerti, spettacoli di piazza, dibattiti, murales... Cercheremo cioè di riproporre tutte le forme di iniziativa che faceva proprio Peppino, già 25 anni fa...