Ricorre in queste pagine l'aggettivo: rivoluzionario. L'Italia degli anni Settanta sfornò una quantità di tali militanti. Oggi questo attributo è vago e subordinato a quello di terrorista. Oggi siamo nell'epoca di chi chiama terrorista pure una banda di tifosi che si scontra con la polizia. Delirio, o farsa, è che lo fa un magistrato.
Allora bisogna occuparsi di aggettivi. Terrorista è il bombardamento aereo di una città. Non ha altro scopo fuori di quello di procurare strage a casaccio e seminare terrore tra indifesi e inermi. Il terrorismo comincia a Guernica nel 1937, sotto le bombe sganciate dalle ondate di attacchi della divisione Condor della Luftwaffe sopra un obiettivo civile che non aveva nulla di strategico, in giorno di mercato. Rispetto a questo terrorismo, tutto quello che va sotto questo nome è sfumatura.
In Italia c'è stato il terrorismo ed è stato di stato. È stato di stato: uno stato al quadrato. Alimentato da apparati interni alle pubbliche istituzioni, con esplosivo scoppiato su treni, in piazze, dentro banche: è rimasto impunito. Consiglio perciò questa facile distinzione: considerate terroristi gli impuniti di stragi. La loro impunità garantisce l'aggettivo.
Secondo termine da definire: rivoluzionario. Non ha niente da spartire con lo scalmanato, il ribelle, l'attaccabrighe, il clandestino. È stata una lunga specializzazione pubblica, dal basso, che si è urtata contro tutti i poteri costituiti, senza mediazione.
Il Partito Comunista italiano non fu mediatore, ma nemico storico e giurato di tutto quello che si muoveva fuori di sé alla sua sinistra. La Terza Internazionale, apparato sovietico che legava a sé tutti i partiti comunisti, lo aveva dimostrato eliminando fisicamente gli anarchici durante la guerra civile spagnola. Il Pci veniva da quella lezione e la proseguiva. In tutto l'arco parlamentare non c'era un cane che mediasse tra le istituzioni e i rivoluzionari italiani degli anni Settanta.
Ma le lotte sociali dei rivoluzionari non avevano obiettivi estremisti. Si organizzavano autoriduzioni collettive delle bollette, riducendole al calcolo di 8 lire al chilowattora, tariffa pagata dall'industria. Si organizzavano occupazioni di case lasciate vuote da speculatori, per chi non aveva un tetto, si lottava in fabbrica per migliorie di ambiente e sicurezza, nell'esercito contro l'arretrato trattamento del soldato di leva. I rivoluzionari puntavano a obiettivi pratici e moderati. Ma la repressione contro di loro fu massiccia e smisurata, così da trasformarli lentamente in rivoluzionari a tempo pieno. I militanti della sinistra rivoluzionaria italiana sono stati i più incarcerati per motivi politici di tutta la storia d'Italia; molto di più in termini di detenzione dei prigionieri del ventennio fascista.
Questa è solo una premessa per aggiornare un po' di vocabolario ricorrente in questo libro. È un documento di storia. Riporta le questioni di quel periodo e l'intelligenza collettiva che inventava risposte.
La radio, come il teatro, era ed è il mezzo più immediato e democratico per la circolazione del pensiero critico e dell'informazione puntuale. Oggi la supplenza di Internet è solo un archivio di consultazione. La radio libera, il teatro chiamavano invece a voce forte a uscire, a incontrarsi in assemblea, in piazza. Davano appartenenza al tempo presente.
Da noi le verità non sono uscite dai tribunali, ma dalle radio libere e dal teatro. Morte accidentale di un anarchico , di Dario Fo, è la verità sull'omicidio del ferroviere Pinelli nella questura di Milano. Vajont è la verità, grazie a Marco Paolini, sulla catastrofe provocata dalla diga. Dai tribunali sono uscite versioni di comodo, carta straccia.
L'opera di Radio Aut qui documentata, merita un libro, è questo. Aut in latino è: oppure. Non è la pronuncia della parola inglese out, fuori, ma l'opposizione dell'oppure, di un'alternativa alla informazione falsa e reticente. Il suo valore aggiunto sta nella notizia data secca, senza enfasi. Il bollettino va al sodo, narra e spiega con frasi brevi. C'era uno strascico verboso nell'eloquenza della sinistra rivoluzionaria, c'era un gergo, qui completamente assente. Qui la passione politica è arrivata allo stile della notizia nuda che da sola produce impatto, mentre dà conto dei fatti. Qui c'è giornalismo vero e già solo per questo rivoluzionario.
I notiziari aprivano con cronache dal mondo. Era questa la formazione sentimentale e politica della generazione rivoluzionaria, proveniva da uno schieramento su scala mondiale. Si apparteneva a un mondo che cambiava i suoi connotati e i rapporti di forza con le lotte armate rivoluzionarie. L'Italia era penisola accerchiata da fascismi, da Portogallo a Turchia, molte forze interne spingevano ad allinearla. Nel mondo vincevano le lotte rivoluzionarie in Vietnam, Angola, Mozambico. Ovunque nei continenti brulicavano lotte di liberazione. Il mondo era tutto vicino, alzava le medesime bandiere.
Noi rivoluzionari degli anni Settanta siamo stati una generazione mondo. Abbiamo perciò avuto un sentimento di superiorità verso i piccoli feudatari della politica italiana, i satrapi mafiosi. Li abbiamo combattuti e irrisi, perché avevamo un più vasto passaporto.
L'odio politico che ci siamo procurati è oggi incomprensibile se non si pensa a quanto rancore, misto a paura fisica, abbiamo scatenato nei nervetti deboli della classe dirigente. Peppino, militante dell'organizzazione rivoluzionaria Lotta Continua, è stato ammazzato con sapienza. Eliminare lui per mutilare tutti. Ed è andata così.