Ha ammesso di aver parlato al telefono con il collega Gian Paolo Turri il giorno prima che la polizia giudiziaria arrivasse in reparto per sequestrare i pezzi di cadavere. Così come di aver aggiunto a penna il nome di Giuseppe Casu nei flaconi contenenti i reperti autoptici presi in consegna dai periti della Procura. Ma ha provato a giustificarsi, invocando più volte comprensione: «Ero stato appena arrestato, mi trovavo in una situazione di forte stress, ho ricostruito i fatti solo dopo».
Tesissimo, spesso in difficoltà, quando non in evidente imbarazzo, di fronte alle domande incalzanti del pm Giangiacomo Pilia e dei legali di parte civile Mario Canessa e Dario Sarigu, Antonio Maccioni, ex primario del reparto di anatomia patologica del Santissima Trinità, si è giocato ieri in aula gran parte delle sue carte al processo in cui è accusato, insieme al tecnico Stefano Esu, di soppressione di parti di cadavere, frode processuale, favoreggiamento e falso.
Un'inchiesta legata a doppio filo a quella in cui il primario di Psichiatria del S.s. Trinità Gian Paolo Turri e la collega Maria Cantone sono finiti sotto accusa per la morte dell'ambulante quartese Giuseppe Casu, deceduto nel loro reparto il 22 giugno del 2006 dopo essere stato legato per sette giorni al letto. Proprio per favorire l'amico Turri - secondo il pm - nel gennaio del 2007 Maccioni avrebbe fatto sparire i reperti di Casu conservati in formalina, sostituendoli con quelli di un altro paziente deceduto nello stesso periodo, in modo da impedire che venisse sconfessata la diagnosi di tromboembolia polmonare con cui era stata archiviata la pratica.
Pm: «Quando fu sentito nelle indagini lei ha negato di aver parlato con Turri prima del sequestro dei reperti, perché? E cosa vi siete detti in quell'occasione?».
Maccioni: «Non ricordavo assolutamente quella telefonata, ho ricostruito tutto dopo, a mente fredda. Lui mi chiese se conoscevo il dottor Frau, che era stato nominato nel collegio dei periti che dovevano analizzare i reperti di Casu. Poi mi chiese conferma della diagnosi di tromboembolia polmonare, io gliela diedi».
Pm: «Lei negò anche di aver fatto delle scritte aggiuntive sui barattoli che consegnò alla polizia giudiziaria, ora lo ammette?».
Maccioni: «Sì è vero, ero stato avvisato del sequestro imminente e avevo fatto cercare i flaconi, avevo aggiunto il nome per agevolare il sequestro, di solito a indicare l'autopsia c'è solo il numero, non il nome».
Pm: «Lei sa come la polizia trovò i flaconi quando venne in reparto il 30 gennaio del 2007?».
Maccioni: «Alle 9 mi avvisarono che sarebbero arrivati in mattinata, ma siccome dovevo fare un'altra autopsia ho dato disposizioni. A chi? Questo sto cercando disperatamente di ricordarlo da anni, ma inutilmente. Comunque confermo che alle 11,30 mi chiamò un giovane medico che mi informò del sequestro in atto, gli dissi che avrebbe trovato i flaconi nel mio studio sul piano d'acciaio».
Avvocato Canessa: «Chi nel suo reparto aveva il compito di smaltire i reperti autoptici?»
Maccioni: «I necrofori».
Canessa: «I necrofori in aula hanno detto di non aver più smaltito reperti autoptici dal 2003 in poi, secondo lei chi e su ordine di chi ha distrutto quelli di Casu?».
Maccioni: «Non lo so, non sono in grado di rispondere».
Si riprende il 14 dicembre con l'esame di Stefano Esu.