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Natascia Casu: "Voglio sapere perché mio padre è stato legato per sette giorni"
"Vogliamo giustizia per Giuseppe Casu"
Francesca Zoccheddu
Fonte: La Testata.info - Numero 2 settembre 2009
28 settembre 2009

Signor Giuseppe aveva 60 anni un anno fa, faceva l'ambulante in piazza nella sua città, cassette di verdura, apixedda di ordinanza, tutto di stagione sempre senza licenza.

E' il rap dei Dr. Drer e Crc Posse che, meglio di qualunque ricostruzione giornalistica, ha finora raccontato la storia di Giuseppe Casu, il signor Giuseppe, ambulante quartese morto nel reparto psichiatrico del SS. Trinità di Cagliari nel 2006, dopo esser stato forzatamente ricoverato ed essere rimasto per sette giorni legato e sedato. Una vicenda che si è tragicamente conclusa in un ospedale cagliaritano, ma che ha avuto inizio a Quartu, in piazza IV Novembre, in una mattina di giugno.

"Era il 15, ricordo benissimo la telefonata, all'ora di pranzo. Avvertivano mia madre che mio padre era stato portato via con un'ambulanza per essere ricoverato in psichiatria". Natascia Casu ricostruisce per l'ennesima volta l'ultima settimana di vita del padre: l'ha fatto con amici, con gli avvocati, con i magistrati che stanno processando i medici del reparto di psichiatria del Santissima Trinità di Cagliari. Quarta di cinque figli, disoccupata come i fratelli, Natascia vuole giustizia "perché Giuseppe Casu era mio padre, ma prima di tutto era un uomo e non meritava di morire così. Nessuno deve poter essere trattato come hanno fatto con mio padre". Dal giorno della morte, avvenuta la mattina del 22 giugno, Natascia non molla: parla con i medici, chiede spiegazioni, con l'aiuto dell'Asarp (Associazione Sarda per l'attuazione della Riforma Psichiatrica) ottiene una indagine interna della Asl che, per prima, accerta che qualcosa non è andato come doveva, che il trattamento riservato al signor Casu è "inaccettabile sotto il profilo clinico oltre che etico".

Signor Giuseppe gioia festa ed allegria, cumbidendi in pratza pardulledda e malvasia, chiacchierando con gli amici mollava la verdura una partita a carte tanto per passarci l'ora.

"Mio padre era pensionato, aveva lavorato per tanti anni come manovale e muratore, poi come ambulante, regolare, insieme ad un socio. Negli ultimi anni, andare in piazza a vendere per lui era un modo per dimostrare a noi figli, disoccupati, che ci si poteva arrangiare. In realtà, per lui stare in piazza significava stare con gli amici, chiacchierare, anche giocare a carte, magari dimenticandosi della merce. Mio padre era così, e ogni volta che veniva multato litigava con mamma. Ma ha sempre pagato le contravvenzioni, sempre". Le multe sono sempre più frequenti, sembra che la municipale di Quartu abbia una particolare attenzione per piazza IV Novembre e per il signor Giuseppe. "Nel giro di due giorni - racconta Natascia - a mio padre sono state fatte due multe da 5000 euro". Il 15 giugno per Giuseppe Casu viene richiesto un trattamento sanitario obbligatorio, per "agitazione psicomotoria", una della cause più generiche previste. In piazza ci sono i carabinieri e i vigili, ma anche una giornalista ed un fotografo, informati che ci sarebbe stato un intervento della polizia municipale: una brillante azione di ripristino della legalità, la definirà il giorno dopo l'Unione Sarda. Buttato a terra e ammanettato, Giuseppe Casu viene portato al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (Spdc) del Santissima Trinità e sottoposto a trattamento farmacologico. "Lo abbiamo trovato legato e sedato - racconta Natascia - ci hanno detto che gli avevano somministrato un farmaco per l'alcolismo, l'Alcover, ma mio padre non era un alcolista. Il giorno stesso del ricovero anche il nostro medico di famiglia lo ha confermato ai dottori dell'Spdc, ma la somministrazione non è stata interrotta".

Gli ultimi giorni di vita di Giuseppe Casu riaffiorano nel racconto della famiglia, nella cartella clinica, nelle dichiarazioni dei medici del reparto psichiatrico, compatti nella difesa dei colleghi ( il primario e la dottoressa che aveva in cura Casu) sotto processo. "Noi andavamo tutti i giorni a trovarlo - prosegue Natascia - e mia madre chiamava ogni mattina per parlare con i medici. Mio padre aveva una mano gonfia e livida e loro se ne sono accorti solo il secondo giorno di ricovero, quando glielo abbiamo fatto notare noi. Nei pochissimi momenti di lucidità ci chiedeva di uscire, di farlo dimettere. Il giorno prima di morire mi ha chiesto di chiamare i carabinieri per farlo liberare". Poi, la mattina del 22, poco prima delle sette, arriva la telefonata. "Signora, venga, suo marito sta molto male". Ci precipitiamo in ospedale, ma ci dicono che era già morto. Non ci sanno dire il perché: io stessa sono stata convocata dal primario che, circondato da tutti i medici del reparto, mi porge le condoglianze e mi dice che occorrerà l'autopsia per capire cosa abbia provocato la morte di mio padre".
Da quel giorno sono passati oltre tre anni, due processi dovranno far luce sulla morte di Giuseppe Casu e sulla sparizione dei reparti anatomici dell'ambulante, reperti che avrebbero dovuto aiutare la magistratura a chiarire le cause del decesso. Ovviamente Natascia non ha perso un solo passaggio della vicenda processuale. "Solo io seguo le udienze - conferma - non voglio che mia madre e i miei fratelli abbiano altre sofferenze. Non è facile stare in aula, zitti e sereni, a sentire ciò che viene detto di mio padre. Si è insistito con l'alcolismo, è stato detto che mio padre aveva avuto in passato episodi di follia, che era seguito dal Centro di salute mentale di Quartu. Tutto falso, mio padre non era alcolista, non è mai stato aggressivo, non ha mai avuto una diagnosi per disturbi mentali". Il momento peggiore? "Sentir dire dai testimoni della difesa che mio padre peggiorava quando c'eravamo noi della famiglia".
Con il processo ai medici dell'Spdc, per omicidio colposo, si riparte a ottobre, " e siamo di nuovo alla ricerca di aiuto per le spese legali. Qualcuno può credere il contrario, ma non è facile denunciare casi cosiddetti di malasanità, soprattutto in situazioni come quella di mio padre. Non si denuncia perché ci si sente soli, travolti dal dolore, spesso senza i soldi per pagare gli avvocati. Se siamo arrivati a questo punto, la mia famiglia e io, lo dobbiamo al sostegno di quanti ci hanno aiutato, al "Comitato Verità e Giustizia per Giuseppe Casu", che si è costituito subito dopo la morte di mio padre. A quanti, come Dr. Drer e Crc Posse, hanno organizzato concerti, manifestazioni, anche cene sociali per raccogliere fondi". Ed è proprio il Comitato verità e giustizia che preannuncia il prossimo passo.
"La morte del signor Giuseppe - spiega Francesca Ziccheddu - ha ovviamente fatto passare il resto in secondo piano, ma non possiamo far finta che quanto accaduto tre anni fa in piazza IV Novembre sia normale, e regolare. Il Tso richiesto per Casu, la stampa allertata il giorno prima chissà da chi, carabinieri e vigili urbani in piazza per una sola persona: su tanti aspetti occorre fare luce".
Eppure la vicenda è stata oggetto di interventi in Consiglio comunale, regionale e anche in Parlamento. "Interpellanze, come quella di Giuseppe Stocchino ( consigliere di Rifondazione comunista), - racconta la rappresentante del Comitato - che non hanno fatto chiarezza. L'allora vice sindaco, Tonio Lai, rispose parlando del verbale dei vigili urbani e della relazione della comandante della Polizia municipale, ma senza mai dire cosa effettivamente fosse scritto in quegli atti. Va poi chiarita la necessità del Tso, la facilità con la quale è stato utilizzato un trattamento che dovrebbe davvero essere una scelta estrema. Casu disturbava? I vigili non riuscivano a gestirlo? Bene, potevano denunciarlo, senza ricorrere ad una misura così grave". Si parla di stato di agitazione psicomotoria. "Anche questo è un mistero - afferma Francesca Ziccheddu - esiste una sequenza fotografica che mostra il signor Casu insieme ai carabinieri: lui sta fumando, chiacchierano e sorridono. Sono scatti che mostrano una situazione non certamente di tensione, un clima sereno fino all'arrivo dell'ambulanza. A quel punto Casu viene accerchiato, gettato a terra e ammanettato, quindi caricato a forza all'interno dell'ambulanza. Ma perché se da parte di Giuseppe non c'è stata nessuna reazione?"
Quartu e la sua voglia di dimenticare. "Facendo un volantinaggio per un'iniziativa in memoria di mio padre - racconta Natascia con amarezza - ho scoperto che in tanti ignorano la sua storia. Eppure mio padre era quartese, come mia madre e le loro famiglie. Solidarietà? L'abbiamo ricevuta da tante persone che frequentano piazza IV Novembre. Dall'amministrazione comunale né condoglianze né cerimonie: solo silenzio, forse imbarazzo...".

Giuseppe e la sua storia come cento o mille altre, voleva stare in piazza gli hanno dato la morte.
Francesca Zoccheddu

Note:

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