Colpo scena contro i due psichiatri: il pm Giangiacomo Pilia ha contestato l'aggravante della previsione del rischio che il paziente sarebbe potuto morire in seguito alla scelta della terapia.
La prima udienza, il I7 aprile scorso, aveva escluso i testimoni del pubblico ministero che aveva depositato la lista fuori tempo massimo. Colpo di scena e lungo rinvio.
Ieri a distanza di sette mesi, nuovo coup de theatre e breve rinvio: al primario di Psichiatria Giampaolo Turri e alla sua collega di reparto Maria Cantone, accusati di omicidio colposo in relazione alla morte di un paziente ricoverato al SantissimaTrinità, il pm GiangiacomoPilia ha contestato l'aggravante della colpa cosciente con previsione dell'evento.
Termini tecnici per dire che i medici di Giuseppe Casu, l'ambulante quartese ricoverato in Psichiatria con un trattamento sanitario obbligatorio, nel momento in cui lo hanno legato al letto e lo hanno sottoposto a cura farmacologica hanno previsto che il paziente sarebbe potuto morire.
Non hanno però accettato quel rischio, altrimenti sarebbe stato contestato il dolo eventuale, l'accusa sarebbe stata di omicidio volontario e il processo sarebbe dovuto traslocare in Corte d'Assise.
Decisamente troppo: se anche il tribunale del lavoro, nel respingere il ricorso Turri contro la sospensione di cinque anni decisa dall'Asl 8 dopo il rinvio a giudizio, abbia sostenuto che si tratta di un fatto grave non comparabile con altre colpe mediche, contestare l'omicidio volontario ai due psichiatri per scelta terapeutica appare eccessivo. Comunque sia, l'aggravante contestata ieri dal pm non è una banalità. Tutt'altro. Il pm potrà ora portare davanti al giudice Simone Nespoli nuovi testimoni a sostegno dell'accusa e la difesa potrà combattere con le stesse armi. Di lì il rinvio dell'udienza all'11 dicembre.
Il primario e la sua collega di reparto erano presenti ieri mattina nell'aula del Tribunale monocratico: si sono seduti fra i banchi in seconda fila,vicino ai loro difensori , gli avvocati Gianfranco Maciotta, Guido Manca Bitti, Massimo Ledda e Vincenzo Sau.
C'erano anche la vedova, la figlia e gli altri parenti di Giuseppe Casu, parte civile con gli avvocati Mario Canessa e Dario Sarigu, ma sono rimasti dietro la balaustra che delimita lo spazio riservato al pubblico.
Sembrava che il processo dovesse finalmente decollare, invece c'è stato il nuovo colpo di scena. Il pm ha annunciato l'integrazione del capo d'imputazione con aggravante: "Hanno agito nonostante la previsione dell'evento". In parole semplici: il 15 giugno 2006 Casu fu ricoverato in Psichiatria con uno stato di agitazione psicomotoria. Venne sottoposto contenzione fisica e gli furono somministrati alcuni farmaci. Contenzione e sedazione per tutta la durata del ricovero, fino alla morte del paziente, il 22 giugno:
trombo-embolia dell'arteria polmonare. Secondo l'accusa la contenzione fisica fu lecitamente prescritta ma venne continuata in modo "non conforme ai protocolli": nessuna consulenza specialistica, nessun controllo clinico strumentale e di laboratorio a intervalli di tempo regolari, nessuna attività motoria per ridurre l'immobilità, nessuna terapia antitrombotica, nessun controllo dei sistemi coagulativi, nessuna consulenza cardiologica né un elettrocardiogramma ne un esame ecografico dei vasi venosi
per verificare le condizioni cardiocircolatorie.
In quel modo, secondo la nuova imputazione, si sarebbe potuto decidere di non somministrare alcuni farmaci e scongiurare alterazioni cardiache capaci di provocare scompènsi cardiaci e respiratori.
Anche perché non si era provveduto neppure alla radiografia del torace.
Fin qui le accuse del pm, la difesa replicherà nella prossima udienza.
Maria Francesca Chiappe